martedì 9 marzo 2010

PRIMA DI AVATAR, NEL 1977...

“Coinvolgere emotivamente il pubblico è facile. Chiunque può farlo anche bendato: prendi un gattino e fai che un tizio gli torce il collo.”

George Lucas

American Graffiti era costato meno di un milione di dollari, e ne aveva incassati cinquantacinque. Dopo l’insuccesso di THX 1138, George Lucas aveva cercato a tutti i costi il successo e lo aveva ottenuto. Quando American Graffiti sfondò ai botteghini, il progetto di Star Wars era stato già venduto. Eppure, forte del successo di Graffiti, Lucas riuscì a rinegoziare il contratto. Voleva produrre Star Wars con la propria società, voleva diritti sulle vendite della colonna sonora, sui giocattoli, su eventuali sèguiti del film. La Fox concesse tutto. Ci sarebbero voluti diciotto mesi per produrre i giocattoli dopo l’uscita del film. E a quel punto, pensavano agli studios, Star Wars sarebbe stato dimenticato.

Dopo un anno e mezzo dall'approvazione del progetto, Lucas aveva la sceneggiatura completa del film, e la fece leggere agli amici registi: De Palma, Scorsese, Friedkin. Nessuno si mostrò entusiasta.

La lavorazione del film cominciò agli Elstree Studios di Londra nel 1976, e non fu una passeggiata. Lucas non amava dirigere gli attori, gli attori non amavano lui, e gli scontri tra produzione americana e maestranze inglesi erano all’ordine del giorno. Quando finì di girare, Lucas era distrutto. Sua moglie Marcia lasciò il montaggio del film e andò a lavorare per Scorsese su Taxi Driver.

Nel 1977 Lucas aveva in mano la prima copia del suo film. Un montaggio ancora rozzo, e senza gli effetti speciali. Organizzò un’anteprima per gli amici. Il film sembrava così brutto che alcune persone uscirono prima della fine. Marcia Lucas scoppiò in lacrime. Amici e colleghi erano imbarazzati. Brian De Palma aggredì Lucas, accusandolo di essersi “dimenticato del pubblico”.

Il giorno dopo, il produttore Alan Ladd jr, che più di tutti aveva dato fiducia a Lucas, telefonò terrorizzato a Spielberg per sapere cosa ne pensasse di Star Wars.

– Penso che sarai il produttore più felice di Hollywood – disse Spielberg.

Alla fine, il costo di Star Wars fu di 9,5 milioni di dollari. Solo nei primi tre mesi di programmazione ne incassò 100. Dopo sei mesi, quella cifra era quasi raddoppiata. Sarebbe diventato uno dei film più guardati, amati, odiati, imitati, parodiati della storia del cinema.

Sulle ripercussioni culturali e sociologiche del film – aldilà dei suoi meriti e demeriti cinematografici – molto si è scritto e si continuerà a scrivere. Quello che è certo è che i colleghi e gli amici di Lucas (a eccezione di Spielberg) uscirono con le ossa rotte dal confronto. Un certo tipo di cinema legato alle idee e alla parola venne meno, sostituito da un cinema che cedeva tutto all’emozione dell’impatto visivo. “Il dialogo non ha molta importanza nei miei film – dichiarò Lucas, lucidissimo. – Sono un regista visivo, del tipo che cerca l’emozione al di sopra delle idee”.

Martin Scorsese, reduce dal fiasco di New York, New York, disse parlando di sé e dei suoi amici: “Siamo finiti”. Il fiasco di Sorcerer, sugli schermi in contemporanea a Star Wars, stroncò la carriera di William Friedkin, che in seguito dichiarò: “Star Wars ha spazzato via tutte le fiches dal tavolo da gioco”. E Robert Altman, negli ultimi anni di carriera, commentò amareggiato: “(il cinema, ndt) è ormai solo un grande luna–park”.

Star Wars ha cambiato il cinema per sempre. C’era un “prima di Star Wars”, e un “dopo Star Wars”. Il critico Peter Biskind ha spiegato tutto in una sola frase: “Siamo figli di Lucas, e non di Coppola”.


14 commenti:

Acidshampoo ha detto...

Non ho simpatia né per Lucas né per Spielberg e m'accodo alla malinconica frase di Altman che descrive bene il cinema americano dei giorni nostri. Fatta eccezioni per i Coen, Paul Thomas Anderson, Todd Solondz, Darren Aronofsky, Sam Mendes, Todd Haynes, Todd Field, Spike Jonze e pochi altri.

La frase di Lucas sulla priorità di un impatto visivo rispetto ai dialoghi secondo me mostra la corda. Non è che l'uno debba togliere per forza spazio all'altro. Toro Scatenato (Scorsese), The Phantom Of The Paradise (De Palma), Apocalypse Now (Coppola), I Giorni Del Cielo (Malick) hanno come punti di forza tanto i dialoghi quanto la forza visiva. Quest'ultima, tra l'altro, di un'altra classe rispetto al cinema di Lucas.

and ha detto...

Non ero ancora nato ma ho una sorella invasata per STar Wars.

due piccole cose:

-la scena del ritrovamento da parte di Luke degli zii trucidati è pari pari a quella di Sentieri Selvaggi (mio film preferito) in cui Ethan ritrova i propri parenti morti. Non conoscendo tutti i rimandi di star Wars, chissà quanti ce ne sono di altri.

-e Jonathan Lethem ha scritto un articolo/racconto molto intenso su Star Wars nella raccolta "A ovest dell'inferno"

MarcoS. ha detto...

Domanda stupida...nel fumetto c'è stato uno starWars o siamo ancora in una dimensione in cui tutto è possibile e al luna park ci si va solo la domenica?

Michele Medda ha detto...

Commento di corsa, poi magari ci torniamo su...

io capisco l'amarezza di Friedkin, Scorsese, Altman (che comunque ha continuato a lavorare sotto l'ala protettiva di Alan Ladd jr, il nume tutelare di Lucas). Tuttavia è un po' troppo comodo, da parte loro, accusare Star Wars di avere traviato il pubblico. Magari meno droghe, meno ego, meno deliri di onnipotenza avrebbero assicurato a questi registi una carriera più tranquilla, e a noialtri ancora tanti buoni film.

PS: Acid, sai che dei registi che hai citato non me ne piace neppure uno? Salvo solo i Coen fino a "Fratello dove sei?".

Acidshampoo ha detto...

Mi sorprende, Michele, che non te ne piaccia nemmeno uno. Leggendo Caravan mi pareva di aver intercettato il tuo amore per il cinema della New Hollywood anni '70, e i nomi che ti ho fatto sono quelli che secondo me portano avanti oggi quella lezione, fatta tra le altre cose di film dai personaggi borderline con storie fortemente "morali", che ti impongono di farti una tua idea. Film che qualche volta, se serve, aggrediscono il pubblico invece di rassicurarlo. Come Haneke in Europa. Ma Haneke ti piace?
E fra i registi americani contemporanei, chi ti piace?

Michele Medda ha detto...

Non ho visto niente di Haneke, e non saprei farti il nome di un regista americano (Eastwood a parte) che mi piace sempre o quasi sempre. Credo che l'intelligenza sia in tivù, oggi, e l'eredità di quei registi che amavo sia stata raccolta dagli autori di The Practice, The Shield, Law & Order, Nip/Tuck (almeno per le prime serie. A proposito, sapevi che la produttrice Jennifer Salt, negli anni settanta, ospitava regolarmente a casa sua tutti i registi della "nuova Hollywood"?).

Trovo tutti i registi che hai citato (compresi i Coen, che un tempo apprezzavo) fastidiosamente barocchi e autocompiaciuti, e cito Billy Wilder: << L'inquadratura migliore è quella che non fa dire allo spettatore, dando di gomito al vicino: "Ehi, hai visto che inquadratura?" >>

PS: A me in genere Spielberg piace, e Munich mi è piaciuto molto. Quello sì che è un film "anni settanta".

Acidshampoo ha detto...

Allora dovrò vedermi Munich. In effetti avevo avuto buone vibrazioni ai tempi in cui uscì. E poi Eric Bana, dopo Chopper, è per me un valore aggiunto in ogni film.

Sulle serie tv concordo. Nip/Tuck è, non solo la mia serie preferita, ma direi proprio una delle cose più belle con cui ho avuto a che fare in vita mia. Tra l'altro sono qui in fremente attesa che su Itasa sfornino i sottotitoli della series finale trasmessa giovedì scorso. Mammamia, per me finisce un'era. Quanto ho amato questa serie...
Non sapevo di Jennifer Salt. E sì, come sceneggiatrice è bravissima, quindi non mi sorprende.

Michele, che mi dici di Rescue Me e Six Feet Under? Per me stanno sugli altri due gradini del podio.
E hai visto la splendida puntata pilota di Pretty Handsome? Doveva essere la nuova serie di Ryan Murphy per il canale FX, ma poi gli fu preferito quella serie patetica, al muschio e al cuoio, che risponde al nome di Sons Of Anarchy (che comunque fa un notevole share di pubblico). Peccato, perché Pretty Handsome prometteva benissimo...

Michele Medda ha detto...

MarcoS, è una buona domanda. Nel fumetto c'è stato uno Star Wars? Non direi.

Anzi, direi che c'è stato un fenomeno di segno opposto a partire dalla fine degli anni ottanta. I fumetti americani hanno perso in "leggerezza", acquistando toni più cupi. Notare che un'opera adulta e matura come Concrete di Paul Chadwick, priva di tinte forti, non trova più uno spazio nel mercato (perciò Chadwick ha smesso di fare fumetti).

La trasposizione al cinema delle opere di Miller e Moore ci indica che per i fumetti qualcosa è cambiato, certo. Ma è cambiato in meglio, o si tratta solo di apparenze? Chissà...

Stefano ha detto...

Per me Star Wars rimane l'epitome del film da popcorn. Lo dico senza spocchia, ho visto tutta l'esalogia e mi piacciono tutti e sei. Però, essendo un esempio di forma "vuota", ho pensato che un paragone con Star Wars nel fumetto, si possa fare in riferimento alla Image. Storie che hanno messo il disegno al centro (tranne rari casi), e sono state ripagate del loro splendore grafico, vendendo tantissimo. Spawn, W.i.l.d.cats, ecc. Certo, per i contenuti non ci si rivolge alla Image (non ai suoi primi anni, almeno), ma nemmeno a Star Wars.

Anonimo ha detto...

credo che fra coloro che "sopravvissero" a star wars, oltre a Spielberg, vada almeno citato anche John Milius.

Michele Medda ha detto...

Stefano, però mi pare - facendo le debite proporzioni - che la Image non abbia avuto poi questa grande influenza negli anni successivi al suo boom. Mentre, al contrario, trovo che una certa filosofia "stile Vertigo" sia rimasta, e che eserciti tuttora una certa influenza.

Per Acid: ho visto solo due puntate di Rescue Me, e mi erano piaciute... ma la mia giornata è ancora fatta di ventiquattr'ore, e non riesco a vedere tutto. E poi ci sono le serie inglesi, mica solo quelle americane...

Stefano ha detto...

Infatti la Vertigo ha avuto un'influenza molto più duratura, penso dovuta al fatto che i loro albi fossero più "pensati", o comunque più adulti. E' possibile una semplificazione, forse: il cinema ha una maggiore capacità di coinvolgimento, e ci si "accontenta" dello splendore delle immagini e degli effetti. Il fumetto, in questo più vicino alla letteratura, invece, non regge (o non dura) se non c'è una idea forte sottostante.
Mi rendo conto che è la posizione più criticabile del mondo, ma penso che una piccola porzione di verità ci sia. Il cinema, ponendo lo spettatore in una condizione passiva, può limitarsi a incantare (e lo deve fare anche per un periodo di tempo minore, oltretutto), un libro richiede la partecipazione attiva, e difficilmente si regge solo sullo stupore del lettore.

Acidshampoo ha detto...

> E poi ci sono le serie inglesi, mica solo quelle americane...

Giusto!
Una per tutti: The Office. La versione inglese eh, quella di/con Ricky Gervais. Divertentissima e commovente allo stesso tempo (e sì, a me il protagonista fa una tenerezza incredibile). Come i migliori film di Pozzetto degli anni '70 o i primi due Fantozzi (quelli di Luciano Salce), in cui quando si ride, si ride verde.

Michele Medda ha detto...

Un fenomeno che non avevo mai considerato sotto un certo aspetto mi è stato fatto notare dal mio amico Claudio (vediamo se poi vuole intervenire). I vari "seguiti" dei film di successo, da Guerre Stellari in poi (i vari Nightmare, Venerdì 13, etc.) sono in un certo senso self-exploitation.

Mi spiego: un tempo il film di successo dava luogo a una miriade di imitazioni (e magari qualcuna era anche interessante). Cioè, altre produzioni cercavano di inserirsi nella scia del prodotto di successo, replicando (in genere con meno soldi) la formula vincente.

Oggi sono gli stessi studios ad auto-imitarsi, replicando all'infinito lo stesso film, fino al totale isterilimento del contenuto. Ho appena visto in tivù Underworld 3: è un film atroce che non ha motivo di esistere, se non quello di occupare quello spazio nel mercato, sottraendolo a un eventuale concorrente.

Un po' come la strategia - tristemente diffusa - di acquistare i diritti di un libro non per farne un film, ma semplicemente per evitare che sia un altro a farlo.