mercoledì 30 dicembre 2009

IPSE DIXIT


Non c'è modo di vincere al gioco della critica. Se si ha un briciolo di cervello si abbandona questa speranza illusoria. Si fa il film che si reputa attraente o interessante, e lo si fa al meglio delle proprie possibilità. Se i critici lo apprezzano, benissimo. Se non lo apprezzano, lasciamoli perdere.

Robert Aldrich

mercoledì 23 dicembre 2009

MUST BE SANTA POGUES

Ormai vicino alla settantina, Bob Dylan sembra avere fatto pace con il suo passato e avere accettato il suo status di icona del ventesimo secolo. Nel ventunesimo può fare quel che gli pare: ha fatto un (altro) film stravagante, uno spot pubblicitario per una linea di lingerie, uno per la Apple, e ha affidato alla catena Starbucks la commercializzazione dei leggendari "Gaslight Tapes" finora reperibili solo come bootleg.

A questo punto gli mancava solo una raccolta di canzoni natalizie. Ha fatto anche questo. Intendiamoci, tutte cose di cui noi appassionati avremmo fatto volentieri a meno, ma His Bobness è ormai al di là del bene e del male. Qui reinterpreta un classico natalizio, una canzoncina per bambini dal titolo Must Be Santa, e sembra rifarsi ai Pogues sia nell'arrangiamento musicale sia nelle atmosfere del video.

Per una volta facciamo a meno della malinconia natalizia di John Lennon, e permettetemi di augurarvi un felice e spensierato Natale.

martedì 22 dicembre 2009

UNA CANZONE PER NATALE



FAVOLA DI NEW YORK

Era la vigilia di Natale,
nella cella che custodiva gli ubriachi,
un vecchio mi disse: “Al prossimo non ci arrivo”
e poi cantò una canzone,
The Rare Old Mountain Dew
E io voltai la faccia
e sognai di te.

Ho avuto fortuna alle scommesse,
è venuta fuori diciotto a uno,
ho la sensazione
che quest’anno è per me e per te.
Perciò buon Natale,
ti amo, piccola,
vedo arrivare un tempo migliore
che vedrà i nostri sogni avverarsi.

- Hanno automobili spaziose come bar,
hanno fiumi d’oro,
ma qui il vento ti pugnala,
non è un posto per vecchi.
Quando hai preso la mia mano per la prima volta,
in una fredda vigilia di Natale,
tu mi hai promesso,
che Broadway era là ad aspettarmi.

Eri bellissimo -
- E tu pure eri bella,
la regina di New York City,
quando l’orchestra finì di suonare,
la gente chiese il bis.
Sinatra swingava,
ogni ubriaco cantava,
ci baciammo all’angolo di una strada,
e poi ballammo attraversando la notte. -

I ragazzi del coro della polizia
cantavano Galway Bay
e i rintocchi delle campane annunciavano
il giorno di Natale.

- Sei un buono a nulla, un relitto
- E tu una vecchia puttana tossica
sempre stesa sul letto come un moribondo sotto flebo
- Spazzatura ambulante, smidollato,
frocio da due soldi,
Buon Natale un accidente,
prego Dio che sia l’ultimo con te.

- Potevo essere qualcuno, io!
- Seeh, come tutti.
Mi hai portato via i sogni
dalla prima volta che ti ho visto.
- Ma io li ho tenuti con me, bambina,
li ho messi insieme con i miei,
e da solo non posso farcela,
i miei sogni li ho costruiti intorno a te.

I ragazzi del coro della polizia
cantavano Galway Bay,
e i rintocchi delle campane annunciavano
il giorno di Natale.

Shane MacGowan & Jem Finer, 1988

Fairytale of New York è la canzone di Natale più bella (e più triste) degli ultimi trent’anni (trovate qui la versione con il testo). Tra l’altro, un modo per ricordare la brava e sfortunata Kirsty McColl, a nove anni dalla sua scomparsa. Due settimane fa il comitato che chiedeva giustizia per la sua morte si è sciolto, dopo l’archiviazione definitiva del caso da parte delle autorità messicane.

Prometto che per Natale ci faremo auguri “americani” con qualcosa di più allegro.

giovedì 17 dicembre 2009

COVER ME part 3

Nel blog di Emiliano avete già visto la cover scartata per il numero 8 di Caravan, Il gioco della guerra. L’idea mi era venuta ricordando una sequenza del film Pink Floyd – The Wall, di Alan Parker. Nella sequenza accompagnata dal brano When the tigers broke free si intrecciano essenzialmente due scene. Quella del padre di Pink nella battaglia di Anzio e quella del piccolo (alter ego dell’autore Roger Waters) che ritrova in un cassetto alcuni oggetti del padre, morto proprio in quella battaglia. Il bambino accarezza con reverenza i cimeli, e poi si prova il berretto guardandosi allo specchio. E la sua immagine riflessa diventa quella di suo padre. Qui sotto trovate la versione sottotitolata in italiano, e qui la scena completa (con la prima strofa della canzone e le scene della battaglia di Anzio).

Mi sembrava una scena perfetta per la copertina del Gioco della guerra, che con Emiliano avevamo adattato alla nostra protagonista, la soldatessa Mary Jane Kimble.



Purtroppo l’idea è stata bocciata. Ora mi verrebbe quasi da dire “per fortuna”, perché la cover approvata (più azzardata per gli standard compositivi bonelliani) mi sembra molto più spettacolare.

Questa copertina è quasi una conseguenza della prima idea, perché si ispira a un altro momento della stessa sequenza.

Pink è in chiesa. Mentre sua madre prega, il bambino gioca silenziosamente tra i banchi con il modellino di un aereo. La scena contrappone, con cupa ironia, la guerra vera e il gioco della guerra.

In seguito mi sono ricordato di una scena analoga – forse anche più simile alla nostra cover – nell’Impero del sole di Spielberg (1987). Il piccolo Jamie sta giocando con il suo aereo giocattolo (il modellino di un Mitsubishi Zero), quando uno Zero reale passa rombando nel cielo sopra di lui. Non sono riuscito a trovare la scena intera, ma nel trailer del film visibile su You Tube se ne intravede un momento.

E per chiudere restando in argomento musicale, vi lascio con un video di anteprima, sempre per il numero 8. Dopo l'uscita dell'albo torneremo sull'argomento.




lunedì 14 dicembre 2009

IL DUOMO DI NOTTE



Piroette di sabbia e le guglie del Duomo
differenza tra pietra e le voglie di un uomo
che ha per vita una gabbia
liberata dal sesso, gonfia di verità,
partorita con gioia nel lontano ricordo,
con le doglie sincere di una maternità
che alla luce, di notte, nella piazza e con rabbia
ha donato, confusa, il suo figlio balordo.

E la vera ragione delle notti impegnate,
dei romanzi creduti, degli amori sbagliati
non la devi cercare dentro i mari delusi
che ti scusano i sogni, le ignoranze, i delitti.
Il suo posto lo trovi nella ruota del giorno,
nello scrigno privato di egoismi e di abusi
e le mani affrettate a cercare gioielli
nella sabbia han trovato, confuse, relitti.

Il dispetto felice sulla voglia che nasce,
contrappeso all'istinto, alla cosa che piace,
la condanna del tempo, della gente del posto,
e il ritorno dal viaggio che ti ha fatto sperare
e la stella seguita si è stancata di darti
e brillare.

Alberto Fortis, Il duomo di notte (1979)

domenica 13 dicembre 2009

SCUOLA DI FUMETTO CON EMILIANO

La Scuola di Fumetto del titolo è la rivista. Il numero ora in edicola ospita uno sketchbook del nostro Emiliano Mammucari. E molte altre cose interessanti...

sabato 12 dicembre 2009

MERRY X-CAMPUS-MAS!


Lunedì 14 sarà in tutte le edicole, in allegato alla Gazzetta dello Sport e al Corriere della Sera, il volume 39 della collana Super Eroi - Le Grandi Saghe, dedicato a X-Campus (testi di Francesco Artibani e del sottoscritto), di cui abbiamo già parlato su questo blog. Sul sito uBC è pubblicata un'anteprima.

QUANDO I FUMETTI NON ERANO PICCOLI


Rizzoli ha appena pubblicato un librone che raccoglie un’antologia del Corriere dei Ragazzi, curata da Gianni Bono e Alfredo Castelli. Imprescindibile per i veri appassionati di fumetti, e per chi voglia conoscere la Storia (con la S maiuscola) del fumetto italiano. Fatevelo regalare o fatevi un regalo voi stessi. Non costa pochissimo (quasi 35 euro), ma sono soldi ben spesi. Non parlerò del mitico CdR (ne ho già parlato nel mio sito, anni fa), ma vorrei esprimere tutta la mia ammirazione per Mino Milani, un nome oggi poco noto ai lettori di fumetti.

Perché rileggendo quelle storie che avevo letto da bambino (avevo una decina d’anni o giù di lì) ho scoperto che me le ricordavo tutte. E non perché ho una buona memoria (non ce l’ho, in effetti). Il fatto è che quelle storie non erano le solite storie per bambini. Milani scriveva per i più piccoli senza considerarli tali, ma adulti in divenire. A quei tempi non era il solo, certo (l’approccio alla narrativa per l’infanzia non era quello odierno, ammorbato dal politicamente corretto), ma Milani è stato lo scrittore più incisivo, almeno nel racconto d’avventura. E certamente è stato il più prolifico: una inarrestabile macchina da guerra del racconto, tanto da utilizzare altre due firme (Eugenio Ventura e Piero Selva) per non monopolizzare il giornale con il suo nome.

Negli articoli che corredano l’antologia rizzoliana, l’allora direttore Giancarlo Francesconi ricorda Milani (che, è bene ricordarlo, è ancora fra noi e porta benissimo i suoi ottantun anni) come un tipo di poche parole, che non amava le chiacchiere e aveva per la scrittura una dedizione totale.

Colpisce ancora oggi, in quei racconti, la prosa asciutta, completamente priva di leziosaggini. Il fluire di una narrazione semplice, “classica”, che pure non indulgeva mai nello sterotipo. E, soprattutto, la capacità di raccontare senza smarrire un punto di vista che era insieme la visione dell’autore e la convinzione etica dell’uomo.

Sarà anche un luogo comune dire che ai vecchi tempi era tutta un’altra cosa. Ma non è un luogo comune dire che di certi fumetti e di certi scrittori, oggi, si è perso lo stampo.

martedì 8 dicembre 2009

THE CHEROKEE MORNING SONG



We n' de ya ho, we n' de ya ho...

The Cherokee Morning Song
l'ho trovata nel corso delle mie peregrinazioni in Rete, alla ricerca di materiale sui Cherokee per Caravan numero 7. Ho poi scoperto che una versione di questa canzone è stata inclusa nell'album Music for the Native Americans, del grande Robbie Robertson.

In attesa che la tecnologia renda possibile inserire l'audio nei fumetti, potete sempre leggere la conclusione dell'albo tenendo in sottofondo questa canzone.

giovedì 3 dicembre 2009

PUNTI DA PONDERARE

Molti anni fa, quando ancora stavo imparando l’abc del fumetto, mi capitò di leggere una curiosa affermazione di Alfredo Castelli: “ogni tavola dovrebbe chiudersi con un punto interrogativo o esclamativo”.

Dovetti andare a guardarmi alcuni albi per capire cosa volesse dire. Perché ovviamente ci sono pagine che non si concludono con un punto, ma, per esempio, con dei puntini di sospensione. O con una vignetta muta. Chiaramente la frase di Castelli non era da interpretare alla lettera. Il decano degli sceneggiatori italiani voleva dire che l’ultima vignetta di una tavola non dovrebbe spezzare una scena. E nemmeno spezzare un dialogo.

Per intenderci, se Jack sferra un pugno a Bill, il pugno non dovrebbe trovarsi sulla tavola successiva, e dovrebbe raggiungere il mento di Bill – sock! – nell’ultima vignetta.
Oppure, se l’ispettore Hotchkiss sta rivelando il nome dell’assassino (“Perché a uccidere Mary Ann non è stato Alan Carter, ma…”), sarebbe meglio che la rivelazione non avvenisse nella tavola successiva.

Se avete una scena con Jim che sta morendo, e che sta raccomandando al suo amico Billy di dire a Susan che lui l’ha sempre amata, evitate di prolungare l’agonia del povero Jim fino alla tavola successiva. Fategli esalare l’ultimo respiro nell’ultima vignetta della tavola. Darà un senso di “compiutezza” alla scena.

Insomma: si parla di punto “metaforico”. Di un beat (battito), come dicono i manuali di sceneggiatura americani, che chiude non necessariamente l’intera scena, ma un momento della scena.

Vi avviso: almeno all’inizio, chiudere “col punto” è molto più semplice a dirsi che a farsi. Vi ritroverete sempre con una vignetta in più e vi sembrerà impossibile tagliarla. Ma non è impossibile. È solo questione di abitudine. Se avrete la fortuna di scrivere per anni, questo modo di scandire la scena alla fine vi sembrerà naturale, e addirittura troverete difficile modificarlo.

La chiusura “col punto”, ovviamente, spesso coincide con la chiusura in toto della scena, il che porta a uno stacco di tempo/luogo con la prima vignetta della tavola successiva. In questo modo il passaggio acquista fluidità. Cambiando pagina, il lettore è condotto in maniera “naturale” al cambio di scena.

Niente vieta, ovviamente, di “staccare” su una nuova scena a metà tavola. Ma il geniale Castelli mi spiegò, anni dopo, che dietro questa “sistematizzazione” degli stacchi non c’erano solo ragioni di ritmo narrativo. Scrivendo molte sceneggiature contemporaneamente, gli capitava spesso di intervenire “a posteriori” sulle storie spostando intere sequenze. Ovviamente, se una scena cominciava con la prima vignetta della prima tavola e si chiudeva con l’ultima vignetta dell’ultima tavola, lo spostamento era molto più facile. Si trattava semplicemente di sfilare quel blocco di tavole dal mucchio e metterle più avanti o più indietro, dove era necessario. Al massimo si ritoccava qualche didascalia o qualche parola di testo.

Ma se una scena “attaccava”, per esempio, con la terza vignetta di una tavola, lo spostamento era problematico: in quel caso si dovevano prendere le forbici, ritagliare materialmente mezza tavola, e poi disegnare ex novo tre vignette per dilatare la chiusura della scena precedente. Un procedimento che richiedeva il suo tempo, e che aveva i suoi costi.

La chiusura della scena a fine tavola oggi è procedura standard per tutti gli sceneggiatori, e probabilmente fa parte di quel DNA bonelliano di cui si è già parlato in questo blog.