Quando cominciai a scrivere
Caravan mi venne l’idea di introdurre ogni episodio con un verso di una canzone, possibilmente una canzone che avesse come tema la strada o il viaggio. Raccolsi due o tre citazioni, poi lasciai perdere. Nella storia ci sono già diverse citazioni musicali, e non volevo rischiare di appesantire il tutto.
Comunque, nell’ideale colonna sonora di
Caravan non potrebbe mancare Springsteen. Se c’è un americano che ha cantato la strada in tutte le sue sfumature è lui, fin dalle prime canzoni. C’è l’imbarazzo della scelta, ma forse le mie preferite sono quelle di
Nebraska. Adoro
State Trooper, cupa, notturna, e
Highway Patrolman, un vero capolavoro.
Decisamente più surreali le canzoni di viaggio di Bob Dylan. Tutti conoscono
Highway 61, album seminale della Storia (con la S maiuscola) del rock. Meno noto il blues
On the road again (da non confondere con l’omonima canzone dei
Canned Heat, rifatta in chiave pop dai
Rockets). Anche questa canzone propone una sfilata di personaggi bizzarri, ma qui il tono è di goliardica esuberanza: dal protagonista con le “rane dentro i calzini”, al padre della ragazza che “porta una maschera da Napoleone” fino al “lattaio con la bombetta”.
Desire, uno degli album dylaniani più famosi (per i profani: è quello con
Hurricane), contiene due bellissime canzoni “di viaggio”: c’è
Romance in Durango, crepuscolare avventura western, famosissima da noi
nella versione di Fabrizio De André. E poi c’è
One more cup of coffee, che sembra quasi la prosecuzione – molto più matura e suggestiva – della stessa situazione descritta in
On the road again. Qui il padre dell’amata non porta una maschera, ma è una figura inquietante: “è un fuorilegge, un vagabondo di mestiere, e ti insegnerà a scegliere e lanciare il coltello”. In ogni caso, tutto quello che ci serve è “ancora una tazza di caffè per andare in fondo alla valle”. Confesso sottovoce che - ehm! - a me piace la versione col sax in uno degli album più detestati dai fans,
Live at Budokan. Ma anche la versione aspra
proposta dai White Stripes ha un suo fascino. (A proposito degli
Stripes, non c'entra col tema del viaggio, ma "ci azzecca" con
Caravan: hanno rifatto anche
Jolene di Dolly Parton in una straziante versione elettrica quasi "doorsiana". Un po' come ascoltare la dolcissima
Diamonds & Rust di Joan Baez nella trascinante
versione metallica dei Judas Priest).
Il nome di Tom Waits è legato ad atmosfere notturne e metropolitane, ma anche il buon Tom ha un paio di canzoni "di viaggio" notevoli. Una è
Going Out West (da
Bone Machine, 1992): "
Il mio funzionario della libertà vigilata sarà orgoglioso di me, ho una Oldsmobile dell'88 e un diavolo al guinzaglio". E, andando più indietro, quella che più che una canzone "di viaggio" è una canzone "di partenza" stralunata e surreale:
I'll be gone, da
Frank's Wild Years: "Berrò l'equivalente di cento naufragi/ stanotte ruberò la tua paga/ dipingerò le lenzuola sul letto/ tutti gli uccelli voleranno via dalla mia testa/ e al mattino me ne sarò andato".
E poi i musicisti cantano anche i loro viaggi “di lavoro”. Quelli delle tournée. Li ha cantati Jackson Browne in
The Road (anche questa famosa da noi nella versione di Ron,
Una città per cantare). E Paul Simon, almeno due volte: prima in coppia con Garfunkel nella famosa
Homeward Bound: “In un tour fatto di serate singole, la giacca e la chitarra in mano, e ogni fermata è programmata per un poeta–one man band”. E anni dopo, da solo, nell’album (e omonimo film)
One trick pony canterà di tristi camere di motel e di spiccioli consumati in interurbane, nelle cabine telefoniche dei bar e delle
roadhouse.
Mi sono chiesto anche se ci fosse in italiano l'equivalente di certe canzoni. Qualcosa c'è, in effetti. Scavando nel mesozoico o giù di lì ci sarebbe un classico come
Ciao amore ciao di Tenco ("la solita strada/ bianca come il sale"...), ma anche
Statale 17 di un giovanissimo Guccini. ("Tutta una tirata da Piumazzo a Sant'Anna Pelago", scherza Guccini presentando il pezzo).
L'amarissima
Scappo di casa di Ivan Graziani. Decisamente più sentimentale
Viaggi e miraggi di Francesco De Gregori.
Non manca la sezione "autobiografica" dei musicisti: c'è
Sulla strada (perfetto equivalente nostrano di
The Road) di Eugenio Finardi (che ha scritto anche
Diesel). C'è
Bomba o non bomba di un ironico Venditti.
Quanto al grande Fabrizio De André, come al solito fu caustico e controcorrente. L'unico per cui la strada diventò
cattiva.