SPOILER ALERT: in questo articolo è rivelato il finale del film The Mist.
Nove volte su dieci trovo i finali negativi – quelli in cui il protagonista muore – insoddisfacenti o, peggio, stupidi.
Avete presente i “controfinali” dei film horror/thriller in cui il protagonista sembra salvo, ma il mostro creduto morto salta fuori all’ultimo istante? O, peggio ancora, il protagonista ha solo sognato di essere salvo, mentre in realtà sta per morire? Ecco, io auspico severe punizioni corporali per chi ci infligge idiozie di questo tipo.
Il finale infausto significa semplicemente che sceneggiatore e regista hanno ficcato i personaggi in una situazione senza uscita e non riescono (o non sono interessati) a tirarli fuori in maniera convincente. E allora è sufficiente sopprimerli, possibilmente in maniera atroce. Dopotutto è solo un horror, perché spremersi tanto le meningi?
All’opposto, ci sono casi in cui un autore è convinto che il suo film non è un semplice film di genere, e dargli un lieto fine sarebbe banale. Meglio quindi ammannire allo spettatore un finale negativo che, si sa, è sempre intelligente (alla critica “di sinistra” piace dire che “non è consolatorio”). È cascato a piedi uniti in questa trappola anche un talentoso sceneggiatore–regista come Frank Darabont, adattando per lo schermo The Mist, un lungo racconto di Stephen King.
La trama: David Drayton sta facendo la spesa in un supermercato insieme al suo figlioletto, quando una nebbia misteriosa cala sulla città e comincia a fagocitare (letteralmente) la gente. Dentro quella nebbia infatti si annidano creature assetate di sangue, che fanno a pezzi chiunque si trovi all’aperto. David si barrica con altre persone nel supermercato. Le ore passano, i soccorsi non arrivano e gli assalti delle creature si moltiplicano. Gli assediati devono decidere se restare chiusi o tentare una sortita. Com’è ovvio, i pareri sono discordi, e la tensione sale drammaticamente…
Fino agli ultimi dieci minuti, pur inanellando tutti gli stereotipi del genere, Darabont riesce a tenere la storia dentro i binari di un insolito realismo, dipingendo in maniera efficace la tensione che dilania gli assediati.
E il film, nonostante qualche lungaggine, scorre bene fino alla fine, quando David con il suo bambino si uniscono a un piccolo gruppo di persone e tentano una sortita. Attaccati dai mostri, in cinque riescono a raggiungere il furgone di David e a partire.
A questo punto, con la fuga, secondo il classico manuale di sceneggiatura la storia è pressoché terminata. I protagonisti hanno raggiunto l'obiettivo formulato nel turning point del primo atto: lasciare il supermercato. Resta da imbastire una scena finale che prevede poche possibilità: l’uscita definitiva dalla nebbia, o l’arrivo dei soccorsi, o il finale “sospeso” del racconto originale. E per qualche secondo sembra che Darabont si tenga fedele a quest’ultimo, con l’auto dei superstiti che si allontana nella nebbia verso un destino ignoto.
E invece no.
Il furgone passa accanto alla casa dei Drayton, e da una finestra David vede sua moglie morta. Dopo avere constatato che la nebbia si estende a perdita d’occhio e nasconde mostri sempre più grandi (ne intravediamo uno grande come un palazzo), i nostri finiscono la benzina. Continuare a piedi equivale a morte certa. Nella pistola sono rimaste quattro pallottole, e in un baleno gli adulti – mentre il bambino dorme – prendono la decisione. È David a premere il grilletto, rimanendo così l’unico in vita.
Pochi istanti dopo la nebbia si dirada, rivelando una colonna di mezzi dell’esercito che ripulisce i boschi circostanti con i lanciafiamme, e conduce i superstiti verso un posto sicuro.
David urla al cielo la sua disperazione. Fine.
Perché questo è un finale deludente, che chiude male quello che fino a dieci minuti prima era un buon film?
Non perché è un finale deprimente (e lo è parecchio), ma perché è insopportabilmente pretenzioso.
È ovviamente un’ironia tragica che David uccida gli altri (compreso suo figlio) pochi secondi prima che arrivi la salvezza. Peccato che la storia di King (praticamente una variante sovrannaturale de Gli uccelli, niente di nuovo sotto il sole) non sia affatto una tragedia di Euripide, ma una classica storia “di mostri”. Darabont la rende con una ben assestata serie di brividi e qualche buona annotazione psicologica, il che non è poco. Ma non basta a elevare il film a livello di tragedia euripidea e a giustificare la crudeltà del finale.
Nonostante la durata (due ore piene, decisamente troppo) e qualche tentativo di affondo “politico” (la figura della fanatica religiosa; i militari con i loro esperimenti) The Mist non è A prova di errore né L’ultima spiaggia, in cui il finale cupo (anzi, letteralmente apocalittico) costituisce un fortissimo statement pacifista. In The Mist il finale shock è semplicemente un effettaccio in più, “più audace che narrativamente efficace”, come ha scritto il critico del Chicago Tribune. Alla fine, uno stratagemma non così diverso dal ciarpame horror da cui Darabont ambisce a distaccarsi.
17 commenti:
la fine ti lascia proprio scandalizzato... in effetti un finale dubbio era meglio
Salve!
Non ho visto il film (che recupererò in dvd per aggiungerlo alla mia videoteca), nè letto il racconto.
Se solo il finale non è riuscito pienamente, a pensarci bene, c'è di che essere quasi contenti.
Andiamoci a riguardare quanti sono stati i racconti ed i romanzi di King trasposti su pellicola e contiamo quanti sono riusciti e quanti no.
Certo un finale così ti lascia l'amaro in bocca, un pò come quello di "Io sono leggenda" l'ultima pellicola tratta dall'omonimo romanzo con protagonista Will Smith.
Vero è che i giudizi e le impressioni su quel che si vede sono e restano sempre squisitamente soggettivi: quel che a me pare bello per te è brutto e via dicendo!
saluti
Cecco
Cecco, non capisco... perché c'è "quasi da essere contenti" se il finale non è riuscito? The Mist è un discreto film, forse anche più che discreto, fino a cinque-dieci minuti dalla fine. Se fosse stato irrimediabilmente brutto, pace. Ma seguire con interesse un film per poi ricevere una coltellata al cuore in dirittura d'arrivo fa proprio rabbia.
Tra l'altro, Darabont è convintissimo del finale, tanto che ha rifiutato l'aumento del budget che gli era stato offerto se avesse accettato di cambiarlo secondo i consigli della produzione. Coerenza "autoriale" sprecata, in questo caso.
Un'altra cosa: la "questione di gusti" c'entra fino a un certo punto. Si può anche apprezzare il finale, se si ha una (in)sensibilità di un certo tipo; ma che nel film ci sia poco o niente che lo eleva oltre lo standard del B-movie è indiscutibile.
A me in generale piace il finale "non lieto" per una ragione molto semplice: è più realistico. Se una persona comune dovesse davvero lottare contro forze sovrannaturali o mostri, state sicuri che ci lascerebbe le penne. Se vince, non è credibile. Tutto qua. D'altronde il 90% del genere horror è fortemente conservatore, etico e benpensante. Se ci fate caso spesso muore solo chi se lo merita, tra i buoni: la ragazza che è andata ad appartarsi col fidanzato nel bosco viene aggredita dal maniaco dell'accetta, a dimostrazione che "certe cose non vanno fatte, pena la morte". La ragazza che va nel bosco solo per aiutare l'amica (senza quindi motivazioni impure) state sicuri che si salverà. Quantomeno, fino a 10 anni fa era così. Ora l'horror è un po' cambiato, ma resta ancora un genere etico
Quindi, Gianluca, il "realismo" è il principio sovrano a cui la narrativa dovrebbe uniformarsi? Mi sembra un po' restrittivo...
@Gianluca:
realismo per realismo, il protagonista in quanto persona comune dovrebbe morire come tutti gli altri tra inizio e metà film, senza farci attendere due ore, ti pare? :)
Piuttosto, a me pare che in effetti certi finali scaturiscano proprio dalla situazione senza uscita in cui si sono cacciati gli sceneggiatori - mi viene in mente Godsend, visto di recente - , e che il realismo sia solo una scusa.
Un attimo, Cecco ha ragione, il giudizio è soggettivo, la "questione di gusti" c'entra eccome. Per qualcuno il finale è perfetto per altri è fuori luogo, ma nessuno dei contendenti può dimostrare di aver ragione.
Mi sembra di leggere del disprezzo nei confronti dei B-movie e se il film rientra in quella categoria non gliene farei una colpa. The Mist non è certo al livello de Il miglio verde o Le ali della libertà (sempre di Darabont e tratti da King) e non lo considero pretenzioso, nemmeno il finale; a me è sembrato "un discreto film [di genere], forse anche più che discreto, fino [alla] fine" e temo che non ambisse ad altro (Darabont l'ha dichiarato in intervista durante la promozione, se non ricordo male). Il racconto di King ha un finale diverso, ma egli stesso ha dichiarato che la conclusione della pellicola è migliore.
Salve a tutti ed un chiarimento con Michele.
Il mio "...c'è quasi da essere contenti..." va inteso così: se il finale è l'unica cosa del film che può essere riuscita male, ma il resto della pellicola tiene sia come contesto di sceneggiatura che come trama dallo scritto di King, vanno quasi fatti i salti di gioia perchè di pellicole tratte dagli scritti di King ne sono state fatte diverse ed in tutta onestà (resta sempre il discorso soggettivo ovvio) diverse hanno rovinato o stravolto il senso del racconto.
Personalmente ritengo che una pellicola tratta da uno scritto debba quanto più possibile seguirne fedelmente i contenuti, fatto salvo qualche licenza "poetica" di sceneggiatori e registi purchè ne migliori la storia d'origine (prendiamo ad esempio le pellicole degli X-Men ... parlo da lettore oltre che da cinefilo, una migliore dell'altra).
Faccio l'ennesimo esempio!
Ricordate la trasposizione su celluloide in casa nostra delle avventure di Tex?
Nello specifico l'unico film tratto da una delle infinite storie del ranger "Tex e il signore degli abissi" con regia di Ducio Tessari (vado a memoria) e Giuliano Gemma nel ruolo protagonista.
Beh, senza che nessuno si offenda ci sono molte pellicole italiane minori (annoverate nel filone "spaghetti western" che spesso è inteso ingiustamente ad indicare dei b-movie) che hanno dato risultati migliori.
Oddio, sarà senz'altro vero che anche il nome del regista ha la sua importanza nel progetto ... infatti se ci fosse stato Sergio Leone a dirigere sarebbe stata un'altra cosa, senza nulla togliere a Tessari.
Un saluto a tutti.
Cecco
Capito, Cecco.
Però sarebbe simpatico fare i conti e vedere quante trasposizioni da King possono considerarsi riuscite. Secondo me sono tante, almeno quante quelle non riuscite, e credo che nel complesso King possa considerarsi uno degli scrittori popolari trattati meglio dal cinema. Basterebbero già la doppietta buona di Darabont (Shawshank & Il Miglio) e quella di Reiner (Misery & Stand by Me), senza dimenticare la Carrie di De Palma (ok, lasciamo stare Kubrick). Diamine, sono già cinque titoli ottimi, e ce ne sono altri più che dignitosi (L'ultima eclisse, per esempio).
Ad altri non è andata così bene. Penso ad Agatha Christie, che, per quanto sfruttatissima dal cinema, riuscì a vedere solo un paio di adattamenti "griffati" delle sue opere (Clair & Lumet); e soprattutto a Ed McBain, popolarissimo negli anni cinquanta e sessanta e quasi sempre utilizzato per produzioni di basso (se non infimo) budget.
Beh, direi che King non si può lamentare!
Lo stesso King non ha accettato di buon grado l'adattamento Kubrickiano di Shining, ma c'è stato di peggio (vedi L'acchiappasogni). Il meglio del meglio di King al cinema è già stato citato (e concordo in pieno), mi permetto di aggiungere (al secondo gradino) La zona morta (di un certo David Cronenberg), L'allievo (di un Bryan Singer pre-X Men), Secret Window di David Koepp e chi più ne ha più ne metta.
Ricambio i saluti a Cecco e li rinnovo a tutti. Ciao!
Che tipo di finale dobbiamo aspettarci per Caravan, dopo queste disquisizioni filmiche?
"C'entrano" (!!!, a proposito...) qualcosa?.
Chiaramente Michele non ci dirà nulla. Volevo comunque solo capire il perchè del post di questo film.
Solo "pour parler"????
(Considerazione importante:io non ho visto il film)
Non direi che il realismo debba essere l'asse portante, ma vedere il lieto fine 10 volte su 10 è anche più deprimente, per me. D'altronde ci sono albi di Nathan Never che finiscono in modo abbastanza amaro con la sconfitta in sostanza dell'eroe (vedi il tuo "Caccia all'uomo" ad esempio). E poi è meglio un finale "non lieto" perchè gli autori non sapevano come tirar fuori il protagonista illeso, oppure è meglio un deus ex machina assurdo per far finire tutto bene per forza? E' meglio un buon finale, che può essere lieto o no, ma ragionato.
Aggiungo un'ultima cosa: che il bicchiere alla fine sia mezzo pieno o mezzo vuoto quel che conta è che dentro ci sia qualcosa!
E concludo l'aggiunta con l'esprimere il piacere di avere degli onesti scambi di battute cominciando dal "padrone di casa" finendo con tutti ospiti.
Ritrovarsi senza conoscersi a discutere di passioni comuni è quanto di meglio e di questi tempi è merce un pò rara!
Cecco
Premetto di non aver letto il libro, e generalmente preferisco comunque guardare la pellicola in modo indipendente... cioè se la ritengo buona o no indipendentemente dalla somiglianza (leggasi Blade Runner).
Ricordo che all'uscita dal cinema il finale di The Mist aveva fatto un discreto effetto, ovvero il dolore del protagonista mi era arrivato.
Però, dopo una riflessione a mente fredda, lo trovai anch'io molto forzato...
Inoltre tutto avviene di corsa, troppa casualità e alla fine trovavo anche forzata la lezione "mai darsi per vinti", anche se trasmessa attraverso sensazioni negative.
Nel film tra l'altro ci vedo altre forzature (tipo appunto la pseudo-religiosa) davvero pesanti.
In sostanza c'è del buono, ma non ricordavo nemmeno di averlo visto, se non fosse stato per il post di Michele.
Riguardo invece i finali, secondo me non c'è una regola precisa. Non vedo perché scagliarsi contro un finale negativo o uno positivo... la parola chiave è quella che precede, ovvero forzatamente negativo o forzatamente positivo.
Il problema sta appunto nella forzatura. Alcuni finali volutamente mielosi ed eroici fanno davvero imbestialire, così come alcuni finali volutamente e forzatamente drammatici.
Quindi, l'importante è che il metodo utilizzato sia funzionale al racconto, e al significato che si vuole trasmettere. Mi viene da citare il bellissimo "Onora il Padre e la Madre" di Lumet, o "The Million Dollar Baby" di Eastwood, 2 capolavori.
Una volta appurato questo, adoro in genere i ragionamenti sui sentimenti negativi (Nathan Never, The Shield, Blade Runner...) indipendentemente dal finale.
Tutti sono capaci di ridere di fronte agli altri. Ma è quando si piange che ci si nasconde.
A noi il finale di The Mist non è dispiaciuto.
Però, il taglio ideale, secondo i nostri gusti, avrebbe dovuto essere su di lui, solo nella nebbia. Niente soccorsi, niente mammina coraggiosa premiata.
Dany&Dany.
P.S.: la colonna sonora dei Dead Can Dance in sottofondo è FENOMENALE! ^____^
Beh, alla fine il film dovevo vederlo ... mi toccava - ora però dovrò leggermi anche il racconto.
Senza tornare su quanto già detto nei post precedenti aggiungo che il finale mi ha lasciato con l'amaro in bocca ma anche che è un modo "originale" per variare sulla tematica classica dei lieto fine e non.
Il problema secondo me è un altro: il protagonista - o meglio l'attore protagonista!
Noi spettatori difficilmente siamo portati a pensarci sopra ma spesso le fortune di un film le fanno anche i volti che lo interpretano: dal protagonista ai comprimari.
A mio vedere i comprimari funzionavano quasi tutti (su tutti l'esaltata pseudoreligiosa, il commesso alla "Ispettore Callaghan" e la nonnina tutto pepe e fuoco).
Chi non ho visto nella parte azzeccata (e non che non sia bravo per carità) è proprio l'attore protagonista: Tom Jane alias Thomas Elliott III.
I ruoli da duro o drammatici mi da l'impressione, nonostante gli sguardi seriosi, che non siano per lui.
Chi come me ha visto a suo tempo "The Punisher" - dove interpretava il mitico e cupissimo personaggio di casa Marvel - l'avrà visto in un ruolo che definire il suo proprio non è il caso - meno male che il cattivo lo interpretava John Travolta.
E questo al di là dei discorsi soggettivi; chi ha letto il fumetto, checchè ne dica, non può non essere almeno in parte concorde.
Un esempio riuscito su tanti? Hugh Jackman e Wolverine!
Un saluto a tutti
Cecco
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