Solo in epoca relativamente recente (da quando si sono diffusi i videoregistratori) si è cominciato a parlare dei blooper disseminati nei film. Che sono sempre esistiti, solo che prima era difficile accorgersene. I blooper sono connaturati al modo di realizzazione dei film: una scena che noi percepiamo sullo schermo come unità è in realtà un assemblaggio di diverse riprese. Nella stessa scena capita quindi di vedere oggetti che cambiano posizione da un’inquadratura all’altra, o addirittura personaggi che cambiano abbigliamento. Per non parlare di microfoni visibili, di cameramen che entrano nell’inquadratura, e via dicendo.
Nessun film (e nessun regista) è immune dai blooper. Il blooper è democratico come il raffreddore: colpisce chiunque.
Anche il fumetto ha i suoi blooper, e qualcuno potrebbe porsi legittimamente chiedersi perché, visto che la lavorazione di un fumetto è più “lineare” di quella di un film. Ma la spiegazione è semplice: gli sbagli esistono perché tutti, senza eccezioni, possiamo sbagliare. E d’altronde la lavorazione di uno qualsiasi dei nostri albi non è lineare come sembra: tra le varie fasi di sceneggiatura, disegno, lettering e correzioni normalmente si protrae per quasi un anno.
Le sviste sono perciò inevitabili, ma attenzione: ci sono sviste di due tipi. Quelle del primo tipo sono sviste vere e proprie, e hanno la più banale delle spiegazioni: sono scappate alla revisione perché in revisione si è guardato e si è corretto qualcos’altro. Anche se le vignette con le sviste più divertenti, purtroppo per voi lettori (o per vostra fortuna), non le vedete su internet. Sono appese dietro le scrivanie dei redattori, monumento perenne alla tragicomicità del nostro lavoro quotidiano.
Le sviste del secondo tipo invece sono sviste “finte”, perché sono lasciate passare a sangue freddo o addirittura sono cercate. Cioè sono vere e proprie licenze narrative peculiari del fumetto.
Come il fatto che in copertina non si riporti mai fedelmente una scena della storia (altrimenti tanto varrebbe pubblicare una vignetta ingrandita), ma si cerchi una immagine simbolica che della storia riassume il senso.
Come il fatto che i nostri eroi – specie nelle serie classiche – diventino improvvisamente mancini, e sappiano sparare con la sinistra altrettanto bene che con la destra.
Come il fatto che le stanze dei nostri fumetti abbiano, quando serve, cinque pareti (o anche sei, a volte) e le finestre si spostino di qua e di là a seconda delle esigenze “scenografiche”.
Come il fatto che l’eroe, tra un agguato e una sparatoria, abbia il tempo per tornare a casa e cambiarsi d’abito (e farsi sparire lividi ed ecchimosi nel giro di poche pagine).
Come il fatto che Dylan Dog non abbia una casa, ma centinaia. O meglio: la casa è la stessa, ma disegnata in centinaia di modi diversi.
Come il fatto che nessuno dei personaggi di un fumetto incespichi mentre parla o faccia dei lapsus o lasci delle frasi a metà, a differenza di chiunque di noi.
O come il fatto che in un cast di venti personaggi, miracolosamente, tutti abbiano nomi diversi (e facili da pronunciare), abiti diversi, pettinature diverse, in modo da essere sempre riconoscibili a prima vista.
Perché avviene tutto questo? Perché applicare piattamente al fumetto criteri di rigido realismo sarebbe come applicarli all’opera lirica. Sarebbe tanto impraticabile quanto assurdo.
In base al concetto del raffreddore “democratico” di cui dicevamo sopra, probabilmente anche nei prossimi numeri di Caravan troverete sviste vere e proprie. Speriamo pochissime. Ma troverete anche sviste “del secondo tipo”, cioè tutte le licenze narrative possibili. E se dopo avere letto questo post leggerete gli albi con più attenzione, beh… sappiate che il lettore attento non è quello che riesce a cogliere le prime. È quello che capisce le seconde.
3 commenti:
Come Dylan Dog ha mille case? Ma non è Groucho che cambia la disposizione dei mobili tra un numero e l'altro : )
complimenti per Caravan, l'ho letto, mi è piaciuto molto.
un saluto
Claudio
Grazie, Claudio! A proposito di Dylan Dog, scrivendolo "a singhiozzo" tra un Nathan Never e l'altro ho scoperto che non esisteva "una" casa di Dylan solo dopo diverse sceneggiature. Scrivendo, davo come indicazione "interno dello studio" o "camera di Groucho", convinto che esistesse una piantina dell'appartamento da usare come modello...
Ciao Michele,
complimenti per il tuo caravan, l'ho trovato veramente "affascinante", non trovo un aggettivo più indicato.
Spero continui a tenermi attaccato per tutto l'anno :)
Non vedo l'ora di leggere il 2° numero. :)
Saluti.
Peppe.
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