martedì 23 febbraio 2010

UNA QUESTIONE DI FIATO


Il pezzo di carta che vedete qua sopra per me è un piccolo cimelio. Me lo consegnò Claudio Nizzi nel 1993 o giù di lì, quando mi fu chiesto di scrivere Tex, per evitare che proponessi idee già sfruttate nelle storie in lavorazione. Se contate le sceneggiature in mano a Nizzi, noterete che erano ben tredici. Stava lavorando a quel ritmo pauroso da anni. E lo avrebbe fatto per molti anni ancora.

Io non sono mai riuscito a scrivere più di cinque–sei storie contemporaneamente, e a patto che almeno un paio fossero in mano a disegnatori lenti. E da almeno dieci anni scrivo due, massimo tre storie per volta (Caravan, comunque, è stata scritta un episodio alla volta e in ordine cronologico, tranne che in un caso: il numero 8 è stato scritto contemporaneamente al numero 12).

Non ho mai praticato sport, salvo per un paio d’anni, ma dopo tanto tempo ho maturato la convinzione che scrivere narrativa per professione abbia molto in comune con lo sport. E’ essenzialmente una questione di (auto)disciplina. Impari ad amministrare le tue energie, e lo fai imparando prima di tutto a valutare il tuo fisico. In questo modo sai cosa puoi chiedergli. Se corri troppo, rischi di non finire nemmeno la gara.

Naturalmente, nel nostro lavoro esiste spesso – direi che esiste “fisiologicamente” – la necessità di correre. Certo, può succedere che “i ritardi si dimenticano, le schifezze restano”, come ammonisce Tito Faraci. Ma questo è il prezzo che ci tocca pagare (e ahimé, far pagare ai lettori). Quelle 94 pagine vanno riempite ogni mese, costi quello che costi. Se la cosa vi turba, quello dello scrittore popolare non è un lavoro per voi. Sceglietevene un altro, possibilmente redditizio, e nei ritagli di tempo libero potrete realizzare una graphic novel di Alto Livello Qualitativo.

Quando qualcuno mi chiede di valutare l’opera prima di un giovane sceneggiatore evito di dare giudizi e dico che non è mai la prima sceneggiatura che conta. È la quinta. O la sesta, fate voi. È quella che vi permette di capire quanto fiato ha l’atleta. Insomma, se è in grado di praticare questo sport. E non di vincere, badate bene, ma semplicemente di gareggiare.

Perché, proprio come nello sport, scrivere non ti darà mai la garanzia di un buon risultato. Puoi esserti allenato, puoi sentirti in forma, puoi giocare in casa e avere il vento dalla tua parte. A volte si vince, a volte si pareggia, a volte si perde. Non esistono certezze, non esiste la sicurezza del centro–classifica. A ogni nuova storia si ricomincia da capo, e la prossima partita sarà sempre tutta da giocare.

12 commenti:

Tito Faraci ha detto...

Grazie della citazione.
E in effetti in quel post dico anche (soprattutto) che però in edicola ci devi arrivare puntuale, e non si possono riempire gli albi di pagine bianche.

Ciao
Tito

Filippo ha detto...

Correre... Mi hai fatto tornare in mente quando andavo forte. Facevo footing un giorno si e un giorno no, poi ho iniziato a farlo un girno si e un giorno si ed è stato un male. Miglioravo continuamente e mi sentivo bene. Ho commesso l'errore di cercare il miglioramento, di forzarlo, di pretenderlo. Ho rischiato lo strappo del tendine d'achille e sono stato fermo un mese e mezzo per recuperare.
Accantonando lo sport, come sai, mi piacerebbe raccontare/inventare storie per mestiere; la cosa che mi turba non è riempire le pagine, ma far leggere le mie storie. E' un controsenso, è assurdo, lo so; secondo te è un motivo per cui dovrei abbandonare l'idea? (Rispondi sinceramente, per favore).
Ci ho riflettuto parecchio e ho pensato che la paura di un giudizio negativo su una propria creazione sia comune tra gli scrittori (sbaglio?), il segreto sta nel leggerlo positivamente. Fregarsene totalmente sarebbe sbagliato, analizzarlo e rifletterci sopra potrebbe tornare utile, magari si impara qualcosa di nuovo. A dirsi sembra facile, ma non è poi così semplice.

Michele Medda ha detto...

Filippo, quando si parla di scrittura e di scrittori io trovo difficilissimo generalizzare. Nel senso che mi è proprio difficile incasellare molti scrittori in una tipologia comune. L'essere umano è complicato. E lo scrittore, probabilmente, è un essere umano più complicato degli altri. Siamo diversissimi, insomma.

Ma la paura del pubblico (e quindi dell'insuccesso) ce l'abbiamo tutti. Il punto è: tu quanto vuoi concedere a questa paura? Se ti blocca, non sei tagliato per fare lo scrittore. Se non riesci a salire sul palco, non puoi pensare di fare il cantante, il musicista, l'attore.

Se non riesci a elaborare un atteggiamento verso le critiche (atteggiamento che può essere di apertura come di totale chiusura, non esiste *il* modo giusto, ma quello giusto *per te*), è molto difficile che tu riesca a scrivere o a svolgere qualsiasi attività in campo artistico.

Posso suggerirti di andare per gradi? Ci sono tanti forum dove puoi postare racconti, fan-fiction, cose del genere. E così puoi "testare" il tuo atteggiamento di fronte a un giudizio disinteressato, non "di parte" come può essere quello di un gruppo di amici. Poi, da qui a "fare lo scrittore" è una strada lunghissima e in salita. Ma decidere se tentarla o meno spetta solo a te...

Michele Medda ha detto...

Per Tito: sapessi quanti giovani aspiranti sceneggiatori si sono scornati su questo fatto... il loro ragionamento è "death or glory": o il capolavoro o niente. Una volta li ho definiti "i Moorituri", perché nella loro smania di raggiungere le vette di Alan Moore finiscono per arenarsi e non combinare niente.

Filippo ha detto...

@ Michele
Che dire? Hai perfettamentre ragione. Cercherò di trovare il modo giusto per me ed eventualmente di procedere per gradi. Dico 'eventualmente' perché ogni tanto penso che una bella mazzata (dai gradi elevati) potrebbe scuotermi e darmi più coraggio.
Fortunatamente non seguo la logica (?) del "death or glory", non aspiro al capolavoro, ma cerco una buona storia.
Grazie mille per i soliti ottimi consigli e l'enorme disponibilità e pazienza.

gianluca ha detto...

Grazie per aver condiviso questo cimelio con noi.. è curioso vedere una storia di 94 pagine, o magari 128, ridotta in "Tizio si arruola nell'esercito: gli succedono dei guai", ma è giusto così: perchè lentamente ti rendi conto che, sebbene il nocciolo sia davvero quello, il nocciolo non è la parte importante. La parte importante è sempre il COME piuttosto che il COSA.

Michele Medda ha detto...

Beh, Gianluca, nel caso di una serie longeva e "classica" come Tex è letteralmente impossibile trovare spunti nuovi. Quindi, come dici giustamente, la differenza è nel "come" si trattano quegli spunti.

Tuttavia, su un arco di tempo così lungo, anche lo sceneggiatore più scafato del mondo a un certo punto esaurisce le sue risorse. Forse, se Nizzi si fosse risparmiato un po', non avrebbe avuto bisogno di quel break nei primi anni novanta. E forse sarebbe stato saggio mettere più sceneggiatori al lavoro su Tex *prima* che Nizzi reclamasse una pausa per tirare il fiato. Certo, mi rendo conto, queste sono considerazioni col senno di poi.

Marco D ha detto...

Senza nulla togliere a Nizzi, la serie ne ha guadagnato da quando sono arrivati in pianta (più) stabile diversi autori. E non si capisce perché mentre per i disegnatori lo si era fatto da tanti anni, non è stata percepita la stessa esigenza per la fase di scrittura. Sembrava quasi che si avesse paura di scoprire che Tex poteva sopravvivere al mito di GB Bonelli.
Una curiosità da "meddiano": Tex è stato il personaggio più ostico da scrivere fra i bonelliani per te?

Michele Medda ha detto...

Marco D: almeno fino a un certo punto, posso capire la ritrosia ad affidare un'icona come Tex a sceneggiatori giovani (all'epoca).

Per quanto riguarda la tua domanda, ho appena risposto in una intervista che uscirà per il blog portoghese di Tex, e ho detto questo: "Tex lo conoscevo benissimo, l’ho letto per più di vent’anni, e credo che quelle due storie di Tex siano state il lavoro più tranquillo e sereno di tutta la mia carriera".

massic80 ha detto...

Mi piace leggere i tuoi post sul "dietro le quinte" della nascita di un albo, sono curiosissimo a riguardo!
Sorvolando su Nizzi, che come tutti i miei paesani è un personaggio atipico (da noi si dice "se non son matti non li vogliamo"), mi domando una cosa - perdonami se l'hai già scritto - quanto ci vuole, in genere, dall'idea alla sceneggiatura completa? Non chiedo il preciso numero di giorni, ovviamente, mi domando l'ordine di grandezza: capisco che se prima non hai anni di cultura alle spalle non puoi neanche cominciare, ma da quando vi viene in mente l'idea per una sceneggiatura, al netto dei tempi dei disegnatori, quanto vi ci vuole ad arrivare all'ultima limata?

Michele Medda ha detto...

E' impossibile determinare quanto tempo passa dall'idea alla sceneggiatura completa, perché l'idea può rimanere a decantare per settimane prima di essere stesa materialmente sulla carta. Oppure, dopo che è stata proposta sotto forma di soggetto, può tardare l'approvazione da parte del responsabile.

L'unico tempo calcolabile è quello che si impiega per arrivare da tavola 1 a tavola 94. Anche quello, molto variabile. Se lavoro su una sola sceneggiatura e tutto fila liscio (anche sul versante della vita quotidiana), impiego di solito un mese e mezzo per completarla. Ma raramente lavoro su una sola sceneggiatura, in genere ne ho in corso due o tre (percentuale ridicola rispetto alle dieci di Tito Faraci), e la velocità di realizzazione è dettata più che altro dai tempi dei disegnatori.

massic80 ha detto...

Grazie per l'ennesima risposta! :-)
Sì, quello che volevo dire io è quanto ci vuole da pagina 1 a pagina 94: ovvio che gli altri tempi non dipendono da voi, ma non avevo idea di quanto ci volesse, perché a me forse non basterebbe una vita!