venerdì 31 luglio 2009

INVOCAZIONI A GOOGLE O'THEP

Arriva il momento, per ogni blogger, in cui si consultano le chiavi di ricerca del proprio blog.

Le chiavi di ricerca sono le invocazioni che ogni navigatore del web rivolge a Google O-Thep, l’oscura divinità del Motore di Ricerca, che guida su internet colui che non sa dove dirigersi. O meglio, che ne ha una vaga idea, ma non riesce a definirla se non con parole arcane. Google O’Thep ascolta le invocazioni del navigatore, e in base ad esse lo conduce su siti e blog. Che non sempre sono quelli cercati.

La volontà di Google O’Thep è imperscrutabile: difficile capire come faccia approdare su un blog di fumetti chi cerca di “smontare un mobile Ikea usando solo i diti”. O come possa condurre chi cerca “donne con la quinta di reggiseno” su un blog di musica jazz.

Nel caso del blog di Caravan, devo dire che nove navigatori su dieci chiedono e ottengono dalla divinità le indicazioni giuste. Digitano come chiave di ricerca: “Medda & Caravan” “Caravan blog” e cose così. Ma c’è sempre qualcuno che smarrisce la strada.

Ecco alcune delle chiavi di ricerca che hanno condotto i visitatori su questo blog.


“LA VITA È QUELLO CHE TI ACCADE MENTRE SEI INTENTO A FARE ALTRI PROGETTI”
L’ha detto John Lennon, mi pare. L’avrò citato in qualche post?

SERIE TV THRILLER O PARAPSICOLOGICI
Noi facciamo fumetti, ragazzo. Sai quei disegnini con sopra le nuvolette bianche che ci hanno le paroline dentro?

REVISIONE CARAVAN
Uhm… Ho il sospetto che qualcuno cercasse un’officina, e non l’iter redazionale dei nostri albi.

TIPO JERICHO
Macché “tipo Jericho”! Jericho non c’entra niente! NIENTE! NON MI SONO ISPIRATO A JERICHO PER CARAVAN! CAPITO?

AUTOCARAVAN DAVIS
Sorry, mister Davis is not home at the moment. Please try later.

CARAVANE AMERICANE
Occhéi, boi, àim from Broccolino, nu iorc.

CAROVANA BONELLI
La formeremo per andare a Lucca. Tenete sgombro il passo della Cisa.

CHE STRADA FARE CON LA CARAVAN PER ANDARE IN FRANCIA
Oh, questa è facile, la so anch’io! Scendi giù verso Genova e poi giri a destra. Se giri a sinistra e poi scendi ci vediamo a Lucca.

COME SI SCRIVE NON CENTRA NULLA?’
Ci hai quasi preso. L’apostrofo ci vuole. Solo che va tra la C e la E, e non dopo il punto interrogativo.

NON C’ENTRA NIENTE QUESTA COSA
Ma sei quello di prima? Perché stavolta è giusto. Bravo, promosso.

RIDERS DISEGNATORI DI MURI
Urge un ripassino d’inglese: quelli che fanno i disegni sui muri si chiamano writers. Però come pronuncia è quasi uguale. Anche Bob Dylan ha giocato sull’equivoco tra “writing” e “riding” in All the tired horses.

OSCAR CARRADINE
No, aspetta, ricapitoliamo: il padre era John. I figli David, Keith, Robert, Bruce. Poi ci sono Calista, Ever, Martha, Richard, Susannah. Ma Oscar non c’è proprio, ho chiesto a IMDB–O’Thep.

QUANDO LA RAI FACEVA VEDERE TUTTI QUEI PAESAGGI CON LA MUSICA
Facile: quando io ero bambino, e si chiamava “intervallo”. Ma a te cosa interessa?

VIGNETTA CON UNA FACCIA STUPITA
Ecco, immagina la mia in questo momento.


PS: L'invocazione a Google O'Thep è un tormentone di Diego Cajelli.

giovedì 30 luglio 2009

NON CI SERVE UN ALTRO EROE?



Rispetto alle serie “infinite” come Tex, le mini–serie hanno portato subito dei vantaggi, innanzitutto sul piano economico: l’investimento è minore, e in caso di insuccesso il danno è relativo. Dal punto di vista degli autori sembrano aprirsi nuovi orizzonti: possibilità di chiudere le storie, di utilizzare la continuity, di liberarsi dagli schemi ripetitivi imposti dalla serialità.

Tuttavia, non sono sicurissimo che abbiamo tutto da guadagnare e niente da perdere. Perché da perdere abbiamo l’Eroe.

Anticipo la domanda: ma perché, non possono esserci mini–serie con eroi? Ci sono già state, no? Per rispondere positivamente aspetto che una mini–serie con un eroe protagonista abbia tanto successo da generare un seguito. Cosa che finora non è accaduta. E comunque, lo iato tra l’uscita di due mini–serie con lo stesso protagonista rende il loro impatto ben diverso da quello delle testate che portano l’eroe in edicola ogni mese per anni e anni. Non è la stessa cosa.

Probabilmente, per renderci conto del destino che aspetta i nostri eroi basta guardare al fumetto americano. Perché le mini–serie, una novità per il fumetto popolare italiano, per il fumetto americano sono un formato ormai “classico”. Da noi sono nate in un momento in cui il fumetto si è trovato stretto all’angolo da altri media, e c’era un bisogno disperato di formule editoriale nuove.

Negli Stati Uniti le “mini” sono nate negli anni ottanta, in tutt’altre circostanze, in un periodo di spinte innovative, sia sotto il profilo del marketing sia sotto quello creativo. Un periodo che ha portato alla realizzazione di capolavori del fumetto. E che non ha portato la nascita di alcun grande eroe. Dopo che Batman era diventato un “cavaliere oscuro” non era possibile farlo tornare indietro. E dopo Watchmen era impossibile concepire un nuovo Superman o un nuovo Spider–Man. Forse John Constantine/Hellblazer è l’ultimo della fila, non tanto e non solo ideologicamente (John è per metà un dolente character chandleriano e per metà un cinico bastardo contemporaneo), quanto editorialmente: Constantine è l’ultimo eroe company owned, che appartiene a tutti e nessuno. Danza sull’orlo dell’abisso, e dopo di lui c’è solo l’abisso (popolato di creature “super”, ma nient’affatto eroiche).

A partire dagli anni ottanta, la possibilità di detenere i diritti sui propri personaggi ha spinto gli autori a dedicarsi a progetti propri (ovviamente mini–serie e graphic–novel) al di fuori delle major. Ma nessuno di questi progetti ha dato luogo alla nascita di un eroe author owned in grado di rivaleggiare con Spider–Man o Batman.

La “autorializzazione” del fumetto popolare ha portato a questa situazione, e forse era inevitabile. Dopotutto, non è una rivoluzione se non si spazza via il vecchio. E il vecchio, nella fattispecie, era l’Eroe, frutto di una sorta di patto faustiano mai dichiarato: l’immortalità (del personaggio) in cambio della mortalità degli autori, inchiodati a una produzione seriale che al massimo può aspirare alla definizione di nobile artigianato; mentre l’Arte del Fumetto è praticata, definita e celebrata in altri luoghi.

Ma nel momento in cui l’autore popolare ha spezzato le sue catene, anche il patto è stato spezzato.

E questa è la situazione che si sta profilando oggi, da noi, con le mini–serie. Dire “basta coi personaggi fissi” (come vengono definiti, con malcelato disprezzo, gli Eroi) significa dire “niente più Eroi”.

Siamo sicuri di poterne fare a meno?

PS per i più giovani: We Don't Need Another Hero, cantata da Tina Turner, è tratta dalla colonna sonora di Mad Max oltre la Sfera del Tuono (1985), terzo episodio della saga di Mad Max, diretto da George Miller e George Ogilvie.

venerdì 24 luglio 2009

REVISIONI, parte seconda

“Revisione” è un concetto molto ampio, che nei nostri albi non comprende solo la correzione degli errori veri e propri, ma una serie di aggiustamenti che hanno diversi obiettivi. Uno dei principali – o forse proprio il principale – è la chiarezza della narrazione.

Qualsiasi lettore deve capire ciò che sta leggendo. E quello che terminato l’albo dice: “Bah, niente di che, però si fa leggere”, non capisce che quella fluidità di lettura – che gli ha consentito di arrivare alla fine pur senza essere entusiasta – non è affatto scontata, ma è frutto di un lavoro che non è solo dello sceneggiatore e del disegnatore.

Uso una vignetta ipotetica per darvi un’idea del lavoro di revisione.

In sceneggiatura la descrizione sarebbe questa: Campo totale, strada metropolitana affollatissima in un’ora di punta. Brady viene verso di noi. È assorto nei suoi pensieri e del tutto ignaro della presenza del killer. Il killer è alle sue spalle, confuso tra la folla. È a pochi metri dalla vittima e si prepara a colpire. Sollevando il lembo della giacca comincia a estrarre la pistola, che porta infilata nella cintura.

Ora, supponiamo che il disegnatore abbia disegnato una strada con decine di persone, auto, insegne al neon; c’è perfino una vecchina che attraversa la strada fuori dalle strisce e un taxista che si sporge dal finestrino e impreca contro di lei. Una vignetta curatissima in ogni dettaglio, figurativamente impeccabile. Vediamo Brady in figura intera al centro della vignetta, e il killer alle sue spalle. E a questo punto abbiamo un problema: sia Brady che il killer risultano “sperduti” dentro l’affollatissima vignetta. Il problema riguarda soprattutto il killer: con questa inquadratura il suo gesto – che è fondamentale per il racconto – non è evidenziato.

Come possiamo intervenire per chiarire la minaccia che incombe sul povero Brady?

a) Intervento “economico”

Diamo al killer un balloon di pensiero: “Ecco Brady... non si è accorto di niente... è il momento buono.”
Non è una soluzione molto elegante, lo ammetto, ma funziona. Ed è il modo più economico per correggere, lasciando intatta una bella vignetta.

b) Intervento di ritocco

Sfogliamo le tavole già disegnate, torniamo indietro alla prima apparizione del killer e ritocchiamolo dandogli un elemento che lo caratterizzi vistosamente. Un impermeabile nero, un giubbotto con una scritta, una benda sull’occhio.
Prendiamo ora la nostra vignetta e ridisegniamo il killer con lo stesso impermeabile/giubbotto/benda da pirata, mentre sta estraendo l’arma. A questo punto il lettore sarà in grado di identificarlo a una prima occhiata, e probabilmente presterà attenzione al suo gesto. E’ una correzione meno “economica” in termini di tempo, ma ancora accettabile.

c) intervento drastico

supponiamo ora che il killer qui sia alla sua prima apparizione nella storia, e quindi il lettore non ha modo di identificarlo come killer se non dal suo gesto, cioè dal fatto che sta estraendo la pistola. Gesto che, come abbiamo detto, non è immediatamente evidente. A questo punto ritocchiamo il killer (inquadrato in figura intera) facendolo diventare un personaggio anonimo, e lo disegniamo ex novo mettendolo in primo piano rispetto a noi. Potremmo metterlo di spalle, con la pistola infilata nella cintura dietro la schiena, e in questo modo avremmo proprio sotto i nostri occhi la mano che solleva il lembo della giacca (o della camicia) per estrarre l’arma. In secondo piano rimane Brady che si dirige ignaro verso di lui. In questo modo diamo tutta l’evidenza che serve al gesto del killer e aumentiamo la tensione.
E’ una correzione più impegnativa, ma di una chiarezza a prova di bomba.

Un altro esempio veloce, stavolta in merito al testo: Antonio Serra mi rimprovera sempre perché i miei personaggi non si chiamano mai per nome.
Ora, quando parlate con un vostro amico lo chiamate continuamente per nome? A me viene in mente lo sketch del trio Marchesini–Solenghi–Lopez che fa la parodia delle tele–novelas.
– Mi prendo qualcosa da bere, Pedro. Tu bevi qualcosa, Pedro? Questo whisky è ottimo, Pedro. –
Insomma, mi scappa da ridere. Io non riesco a scrivere così.

La preoccupazione di Antonio è legittima, però. Nel caso di personaggi minori, che scompaiono e riappaiono venti pagine dopo, è probabile che il lettore non ricordi i loro nomi. Il problema è quindi inserire i nomi nel dialogo facendo in modo che il dialogo appaia “naturale”. Alcune volte trovo che sia proprio impossibile e non lo faccio. I nomi, comunque, saranno aggiunti in fase di revisione.

Insomma: ci preoccupiamo di “fluidificare” il racconto, vignetta dopo vignetta, dettaglio dopo dettaglio.

Qualcuno potrebbe obiettare che abbiamo poca fiducia nell’attenzione dei lettori. O che “chi ha voglia di capire capisce lo stesso”. Oppure, posizione più estrema, che “tanto non è importante capire tutto”. Posizioni rispettabilissime, ovviamente. Ma non sono le nostre.

E ovviamente la chiarezza della narrazione è l’obiettivo principale della revisione, ma non è l’unico. La revisione controlla che ci sia una certa definizione grafica per segnalare al lettore i flashback, che i balloon siano disposti in un certo modo, che le didascalie che proseguono il dialogo abbiano le frasi tra virgolette e così via.

Ciò che caratterizza la SBE rispetto alle altre case editrici non è una revisione che “corregge gli errori” (e nessuna revisione abolisce completamente gli errori, com’è evidente). La revisione è molto di più: è quel lavoro lungo e sfaccettato che riassume in sé il metodo e la “filosofia” della casa editrice. In questo senso la nostra “post–produzione”, così come accade per il cinema, è realmente complementare al lavoro degli autori: gioca una parte non piccola nel rendere gli albi Bonelli quello che sono (anche negli aspetti più criticati, sia chiaro), per indirizzarli a un pubblico quanto più possibile vasto.

E se il successo della Sergio Bonelli Editore è tuttora ineguagliato, vuol dire che il metodo funziona.

lunedì 20 luglio 2009

REVISIONI, parte prima

Paradossalmente, si può dire che il “viaggio” di un albo a fumetti comincia dalla fine. Perché è solo dopo che è stata consegnata la novantaquattresima tavola che comincia ciò che noi chiamiamo “revisione”, e che il cinema chiama con un termine più tecnico “post–produzione”.

In realtà in alcuni casi – come nella lavorazione di Caravan – c’è una fase intermedia, che prevede un controllo sui lay out a matita per evitare grossi svarioni. È un metodo di lavoro efficace, ma che non sempre è possibile utilizzare, dato che allunga tempi di lavorazione già lunghi di per sé (l’ho già detto e lo ribadisco: la lavorazione di ciascuno dei nostri albi dura da cinque-sei mesi a un anno).

Normalmente il disegnatore fa il suo lavoro, dopodiché la storia completata viene passata alla letterista perché trascriva dialoghi e didascalie.

Di solito io faccio una revisione del testo controllando i disegni, e consegno al lettering questa versione, praticamente una sceneggiatura con i soli dialoghi. In questa fase posso apportare cambiamenti anche significativi rispetto alla versione originale, in base a miei ripensamenti (anche per semplici questioni di gusto) e/o in base a eventuali sviste del disegnatore.

Dando per scontato qualche elementare errore di distrazione da parte di chi scrive (come un John che diventa James a tavola 84), la modifica più frequente consiste nello sfoltimento di qualche dialogo troppo lungo.

In Caravan 4, in cui c’è un lungo flashback raccontato con le didascalie, ho addirittura abolito intere didascalie che non aggiungevano nulla ai disegni dal punto di vista del racconto.

Sul versante opposto, spesso ci si accorge che qualche vignetta muta non funziona come dovrebbe, e allora viene inserita una battuta di dialogo per aiutare la lettura. E’ qualcosa che io normalmente evito, e che uso soltanto in casi disperati. Per esempio quando un personaggio che dovrebbe apparire sorpreso ha un’espressione impassibile. Al posto del famigerato “?” (espediente che odio più delle voci dalla finestra) preferisco inserire un “Cosa?”

Altre volte è una vignetta con più balloon a risultare problematica. In un dialogo tra tre personaggi – mettiamo che siano Kurt, Rico e Jim Bob - può capitare che il disegnatore non riesca a disegnare i personaggi in modo da rispettare l’ordine di lettura dei balloon . (Chi parla per primo deve stare a sinistra, chi parla per secondo al centro e chi parla per ultimo a destra). Se non si tratta di un dialogo fondamentale posso tranquillamente invertire le battute fra due personaggi, attribuendo a Rico una battuta di Jim Bob. E se non posso fare questo, okay, uno dei due sta zitto: magari quello che vediamo di spalle, dato che non vediamo la sua bocca.

A proposito di bocche: a volte mi imbatto in personaggi disegnati con la bocca spalancata, come se stessero urlando una battuta di dialogo che era pronunciata normalmente. Se il dialogo si presta, posso farlo risultare gridato, semplicemente mettendo in neretto un testo che prima era scritto normalmente. “Ho capito che sei stato tu a uccidere Jack...” diventa: “Adesso ho capito... sei stato tu a uccidere Jack!”

La prima fase della revisione – almeno per quanto riguarda il sottoscritto – consiste più o meno in quanto indicato qua sopra.

In base ai dialoghi così ritoccati il letterista fa il suo lavoro, dopodiché la storia torna al supervisore che la legge e corregge eventuali errori di lettering. E a questo punto comincia la revisione vera e propria: quella sui disegni. Un lavoro che non ha una dimensione standard, e che può andare dal ritocco su quattro-cinque vignette fino al rifacimento, ahimé, di tavole intere (o di albi interi ormai entrati nella mitologia redazionale).

Aldilà dei risvolti aneddotici, a volte esilaranti, la revisione è un lavoro nascosto da non sottovalutare, essenziale per le nostre pubblicazioni. Di più: spesso è ciò che fa la differenza tra gli albi della Sergio Bonelli Editore e prodotti analoghi di altre case editrici.

Ma di questo avremo modo di riparlare.

sabato 18 luglio 2009

IL CARAVAN O LA CARAVAN?


Mi scrive Nico, da Ferrara. Nico, che è un caravanista nel vero senso della parola (appassionato di caravan su quattro ruote), ha apprezzato Caravan (il fumetto), ma ci tiene a puntualizzare alcune cose.

Prima di tutto che si dice “la caravan”. “La” caravan? Perdonami, Nico, non ci riesco proprio. Anche se probabilmente hai ragione, dopotutto “carovana” è femminile. Io ho sempre sentito dire “il caravan”, e facendo una rapida ricerca su Google la parola caravan si trova accompagnata da entrambi gli articoli, maschile e femminile.

Poi, dice Nico, i Donati viaggiano dentro il caravan, e questo è vietato, anzi, vietatissimo dal codice della strada. Il caravan si può utilizzare solo a veicolo fermo.

Ora, questo lo sapevo. Ma diamine, nell’evacuazione di Nest Point il caravan serve proprio a viaggiare comodi. Gli spostamenti sono lunghi e le soste brevi. Non avrebbe senso fare il viaggio stipati dentro un’automobile avendo il caravan a disposizione.

E inoltre – dettaglio non trascurabile – a volte mi fa comodo separare i personaggi per ragioni narrative.

Ancora, dice Nico, il caravan dei Donati è di una marca europea (che lui con occhio clinico ha identificato immediatamente). Marca europea che però non è importata negli Stati Uniti.

Oops. E va bene, lo ammetto. La scelta del modello del caravan è stata determinata da un lungo e ponderato ragionamento riassumibile in tre parole: avevo le foto. Ho trovato su una rivista le foto di quel caravan ripreso da tutte le angolazioni, con tanto di misure e schemi dell’interno. L’ideale per non fare impazzire i disegnatori.

A dire il vero ho cercato anche dei caravan americani, e ho trovato diverse foto su internet e su altre riviste. Ma niente di così completo come l’articolo su quel caravan: preziosa documentazione fornita sul proverbiale piatto d’argento.

Prendete la cosa come una licenza narrativa. Che non è l’unica né la più vistosa, come credo di avere già scritto. I lettori pignoli potranno notare anche qualche cambiamento nei dettagli degli arredi, o in qualche caso un curioso dilatarsi e/o restringersi degli spazi di diversi camper e roulottes per esigenze sceniche. È già difficile per una macchina da presa cambiare angolazione dentro spazi ristretti, figuriamoci disegnare gli spazi in questione senza vederli dal vero, e far muovere al loro interno sei o sette personaggi.

Se avete oltre osservazioni, fatele pure. Ma vi prego, non chiedetemi dov’è che le roulottes dei profughi di Nest Point scaricano i serbatoi delle acque nere.

mercoledì 15 luglio 2009

APPUNTAMENTO A VINCI

Il 25-26 luglio si svolge a Vinci (sì, la patria di Leonardo) la Festa dell'Unicorno, manifestazione "medievalfantasy", con cosplay, "disfida di arti magiche" e un inquietante "vicolo della paura". Io sarò là il 26 insieme ad Angelo Stano, per parlare del "Giorno del licantropo", il nostro episodio di Dylan Dog che uscirà in settembre, di horror, fantasy, varie e financo eventuali (Caravan compresa). Ci si vede là.

domenica 12 luglio 2009

LO CAPISCE ANCHE UN BAMBINO

Tanto tempo fa, un uomo e suo figlio andavano in città con un asino. L’uomo, non più giovane, montava sull’asino, e il ragazzo lo seguiva a piedi, arrancando sulla strada polverosa.
Quando incrociarono altri viandanti, questi li guardarono sdegnati.

– Guarda quell’uomo – disse uno – sta bello comodo sull’asino e lascia che il suo ragazzo vada a piedi!
Toccato da quelle parole, l’uomo disse al ragazzo: – Figlio mio, monta tu sull’asino, e io andrò a piedi.
Il ragazzo obbedì, e dopo un altro tratto di strada ecco altri viandanti. Anche questi guardarono padre e figlio con disapprovazione.

– Guarda un po’ quel ragazzo – borbottò uno dei viandanti – Lui viaggia seduto, e fa andare a piedi il suo anziano genitore. I giovani non hanno più rispetto, al giorno d’oggi…

A quelle parole il ragazzo si sentì in colpa, e disse a suo padre di montare anche lui sull’asino.
Proseguirono così, entrambi sulla groppa dell’animale.

Naturalmente dopo poco tempo passarono di là altre persone, e una di queste li apostrofò: – Ma non avete cuore? In due su quel povero asino… finirete per spezzargli la schiena!
Padre e figlio non dissero una parola e scesero dall’asino, proseguendo il cammino a piedi. E quando videro avvicinarsi altri viandanti il ragazzo disse al padre: – Adesso non avranno niente da rimproverarci.
Ma quando incrociarono quegli uomini sentirono uno di loro dire: – Avete visto quei due stupidi? Hanno un asino e vanno a piedi!

Questo raccontino, che ho riportato a memoria, era nel mio libro di lettura delle elementari. Perché anche se sei un bambino puoi capire quanto vale il parere del primo che passa. Specie quando pretende di essere più intelligente di te.

sabato 11 luglio 2009

CARAVAN - IL SITO

Inoltro la comunicazione con un pizzico d'orgoglio, permettetemi. Posso annunciare ufficialmente che Caravan ha un sito non ufficiale, allestito dall'infaticabile Raffaele Giannini.

Vi troverete, oltre alle informazioni "di default" su Caravan - info sugli albi, sugli autori e sui personaggi - anche un forum, dove potrete discutere liberamente su tutto ciò che riguarda la serie (ma sia chiaro, questo non vi impedisce di fare proselitismo anche altrove, convertendo gli infedeli al culto della Carovana ;-)

A Raffaele un sentito grazie per l'entusiasmo, e a voi tutti buona lettura e buona discussione!

mercoledì 8 luglio 2009

INCONTRO CON STEFANO RAFFAELE


Come forse saprete, il disegnatore del numero 2 di Caravan, Il ribelle, è Stefano Raffaele.

Quello che non sapete è che Stefano Raffaele ha abitato in Sardegna per qualche tempo, e che lui e io ci siamo visti una sola volta, nel 2000 o giù di lì, grazie ad amici comuni. In quell’occasione (non so più quale evento in una libreria di Cagliari) abbiamo fatto una lunga conversazione che riporto qui per intero.

– Ah, Stefano Raffaele! Piacere, sono Michele Medda.
– Piacere.

Dopodiché non ci siamo più visti né sentiti per anni.

Io sono arrivato a Milano mentre lui ed Elena la lasciavano, trasferendosi in un posto più piccolo e più vivibile. Qualche anno fa ci siamo incontrati in redazione alla Sergio Bonelli Editore e abbiamo conversato sul serio, con un certo imbarazzo da parte mia. Infatti professionalmente lui conosceva me, ma io non conoscevo lui.

Lo ricordavo ancora come “quello di Arkhain”, ma ignoravo che avesse un lunghissimo curriculum “americano” e che lavorasse per la Francia col quotatissimo Christophe Bec. Sarà per questo - l'ho scoperto solo lavorandoci insieme - che Stefano ha un approccio al lavoro che pochi fumettisti hanno in Italia: preciso, puntuale, e scevro da elucubrazioni intellettuali sul Segno.

È uno di quei disegnatori che hanno una bravura “invisibile”. Di quelli che non cercano l’enfasi a tutti i costi, ma mettono il racconto prima di tutto. Nelle tavole del Ribelle basterebbe guardare come sono disegnate le auto per vedere quale impegno meticoloso mette nel suo lavoro. Ma troverete molto di più. Leggendo le scene di dialogo – specie tra Davide e Jolene – potrete notare l’estrema naturalezza degli sguardi e dei gesti dei personaggi. Se pensate che una simile espressività sia cosa di tutti i giorni, vuol dire che di fumetti ne avete letto davvero pochi.

Il ribelle è il debutto di Stefano sul formato “popolare”, ben diverso da quello grande degli albi cartonati francesi. Confrontandolo con i suoi lavori precedenti, noterete come nell’arco delle novantaquattro tavole il tratto acquista gradualmente una nuova sintesi, ma senza che il disegno perda volume e incisività.

Se vi piacerà Il ribelle potete recuperare i due volumi di Fragile, love story "zombesca" che Stefano ha scritto e disegnato nel 2003 per Les Humanoides Associés. La Saldapress la propone finalmente qui in Italia.

E infine, se volete saperne di più potete dare un’occhiata al suo blog (il link è nella colonna a destra) o, perché no, incontrarlo di persona sabato 11, alla fumetteria ComiXrevolution di Bergamo, dove parlerà di Fragile e del suo lavoro su Caravan. Nel caso, mi raccomando: siate più loquaci del sottoscritto.

PS di aggiornamento: come potete leggere nei commenti, a Bergamo probabilmente sarà presente anche Werner Maresta, disegnatore del numero 4, La storia di Carrie.

martedì 7 luglio 2009

GET YOUR MOTOR RUNNING!

Nel numero 2 di Caravan si parlerà di Easy Rider. Sono sicuro che se non avete visto questo film l’avrete almeno almeno sentito nominare, proprio come Davide Donati.
E se l’avete visto e volete saperne di più vi consiglio di leggere il bellissimo libro di Peter Biskind Easy Riders, Raging Bulls.

Biskind racconta la storia della generazione hollywoodiana dei baby boomers, quella emersa agli inizi degli anni settanta. Per intenderci, quella di Spielberg, Coppola, Friedkin, Scorsese. Easy Riders Raging Bulls è un racconto straordinario di grandi speranze e grandi frustrazioni, intrecci inestricabili fra arte e mercato, talenti esplosi e talenti implosi.

Ma intendiamoci, non si rimane sul livello aneddotico (anche se avrete modo di sapere cosa combinava in gioventù Jennifer Salt, oggi produttrice di Nip/Tuck). Partendo proprio da una frase di Easy Rider (“We blew it”, “Abbiamo toppato”), Biskind propone una lettura in chiave edipica della (mancata) rivoluzione hollywoodiana su cui Guerre Stellari pose l’epitaffio nel 1977. Rivoluzione di cui Easy Rider, girato nel 1968, uscito nel 1969, sembrava porre le premesse.

A rivederlo oggi il film scritto, diretto e interpretato da Peter Fonda e Dennis Hopper appare quasi come un reperto archeologico, con la sua lentezza esasperante, con i suoi incredibili stacchi “a intermittenza” (bisogna vederlo per rendersi conto), con la sua narrazione on the road che procede per accumulo, senza meta proprio come i suoi protagonisti.

Ciononostante – o forse proprio per questo – Easy Rider mantiene la sua statura di film mitico, straordinaria epopea di perdenti suggellata dalle note della dylaniana It’s Alright Ma cantata da Roger McGuinn. E per chi scrive resta indelebile il ricordo di quei paesaggi che si srotolavano davanti agli occhi al suono di una musica che era già leggenda, aprendo le pareti di un piccolo cinema sugli orizzonti infiniti dell’America.

domenica 5 luglio 2009

UN'ALTRA INTERVISTA

Stavolta rispondo alle domande di Francesca Sassoli, per il sito www.affaritaliani.it, in questa pagina.

sabato 4 luglio 2009

F@##ING CONTINUITY!

Da Wikipedia italiana:

Continuity (in italiano continuità) è un termine inglese con cui si definisce, nelle opere di finzione, la coerenza e la non contraddittorietà nello svolgimento e sviluppo di eventi, situazioni e vite dei personaggi. Il termine si rifà al concetto matematico di continuità, che si applica ad una funzione intuitivamente "liscia", senza salti o sbalzi, ed è utilizzato per tutti i media, in particolare fumetti e telefilm.

Detto in altre parole, si dice che una serie a fumetti è "in continuity" quando in ogni episodio si tiene conto degli episodi precedenti. I protagonisti ricordano tutto ciò che hanno "vissuto" e si comportano di conseguenza, "in continuità", appunto, con le passate vicende.

Tex è il tipico fumetto "non in continuity". Nathan Never è "in continuity" (secondo Wikipedia è il personaggio italiano più simile alla formula editoriale americana, e probabilmente è vero).

Una delle prime domande rivolte al sottoscritto durante la presentazione al pubblico di Caravan è stata: “Ma Caravan è una serie in stretta continuity?”. Purtroppo lo è. Ma io la odio, la continuity. La odio prima di tutto da lettore, perché magari ti capita di leggere un episodio e di scoprire che in mano non hai niente, hai solo un mozzicone di storia che non inizia – perché è iniziata sei mesi fa – e che non finisce (perché finirà tra sei mesi).

Da quando i fumetti non solo li leggo, ma li scrivo, il mio odio per la continuity è cresciuto. Quando scrivo Dylan Dog, grazie al cielo (e a Tiziano Sclavi), per fortuna non ho problemi. Quando scrivo Nathan Never evito come la peste la continuity, e lascio agli altri (Antonio Serra in primis) il compito di portarla avanti.

D’altronde, il nostro direttore Decio Canzio ripete sempre che i più grandi successi della casa editrice sono due serie che ignorano la continuity: Tex e Dylan Dog. E almeno su queste, che ormai sono definite “maxi–serie”, non esiste una ragione pratica al mondo per usare la continuity.

Sia come sia, gli adoratori della continuity (al 99,9% ciechi adoratori del fumetto americano) non si rendono conto che la continuity stretta è una caratteristica del fumetto americano perché il fumetto americano ha caratteristiche tali da permetterla.

Un albo americano – 24 tavole in media – può essere realizzato in un mese, considerato che spesso gli sfondi non sono disegnati e il lavoro è diviso tra matitista e colorista. E se il disegnatore si accorge che sforerà, i tempi di lavorazione sono così brevi che è possibile realizzare in tutta fretta un fill–in, un albo “tappabuchi” fuori dalla continuity, e farlo uscire al posto dell'albo posticipato.

Ora, scusate la pedanteria, ma seguitemi mentre facciamo un po’ di conti: un albo italiano consta di 94 tavole, non di 24. Se ai tempi eroici un disegnatore come Renato Polese poteva realizzare un albo in tre mesi, oggi un disegnatore impiega non meno di otto mesi per realizzare quelle novantaquattro tavole. Notate che dico “non meno”. Più il tempo necessario per rileggere, correggere, scrivere il lettering. E infine stampare il tutto.

Insomma: salvo fortunate eccezioni, nel momento in cui leggete uno dei nostri albi sono passati almeno dodici mesi da quando il disegnatore ha posato la matita sulla tavola 1.

Un anno è un tempo maledettamente lungo, durante il quale può succedere di tutto. Per un mese si può anche tenere a bada il mondo esterno, procrastinando il procrastinabile fino alla consegna dell’ultima tavola. Per un anno questo non si può fare. Sperare che la sorte ti lasci in pace per farti completare un albo nei tempi programmati è spesso una penosa utopia.

Lavorando su una serie a episodi autoconclusivi come Tex o Dylan Dog, un disegnatore che “buca” una consegna non provoca grossi sconquassi. L’albo programmato viene sostituito con un altro. Non sempre è semplicissimo modificare la scaletta, ma diamine, i redattori sono là per quello.

Ovviamente, sostituire un albo in una serie in continuity non è possibile. Ogni albo deve uscire nel mese per cui è stato programmato. Nell’ambito di una miniserie, il ritardo in una consegna significa far slittare la data d’uscita dell’intera serie o, se la serie è già in edicola, "bucare" l'uscita mensile.

Dato che per una miniserie "in continuity" è necessario mettere al lavoro una decina di disegnatori (a meno di non avere un vero velocista, è difficilissimo che un disegnatore possa realizzare più di tre albi di una miniserie), occorre incrociare le dita e sperare che dieci persone, per un anno, non abbiano inconvenienti che rallentano il lavoro. Era John Lennon, se non sbaglio, che disse: “La vita è quello che ti accade mentre sei intento a fare altri progetti”. In vent’anni di professione ho visto storie interrotte per i motivi più svariati: malattie, traslochi, matrimoni, divorzi, incidenti domestici, ristrutturazioni, crisi depressive.

E se tutto fila liscio, comunque, esiste un altro problema pratico tipico delle miniserie: i disegnatori non lavorano tutti alla stessa velocità. Significa, per esempio, che ti ritrovi con il numero 5 più avanti nella lavorazione rispetto al 4. Dov’è il problema? Semplice: il disegnatore del 5 non ha a disposizione quegli elementi (quel determinato personaggio/ambiente/scena) che dovevano essere introdotti nel 4 per poi essere ripresi nel 5 e negli albi successivi. Quegli elementi, quindi, dovranno essere visualizzati dal disegnatore del numero 5, e sarà poi il disegnatore del 4 a regolarsi sul 5.

Moltiplicate questo problema per un numero n di volte (ripeto: disegnatori diversi, velocità diverse!) e aggiungete che, per esempio, dovete anche ricordare in quale vignetta compare l’auto di un certo personaggio. Cosa facilissima dopo avere scritto due o tre episodi della serie. Dopo averne scritti cinque, non ricorderete nemmeno in quale albo era comparsa l’auto di quel personaggio e lo farete disegnare su un camper. Ammesso che di quel personaggio ricordiate l’esistenza.

Uno degli albi di Caravan ancora in lavorazione deve assolutamente essere chiuso in pochi mesi. Ho proibito al disegnatore di ammalarsi. Appena ho finito di parlare al telefono con lui mi è arrivata un’e–mail da un altro disegnatore, quello che ha in mano l’episodio successivo: mi informava che aveva la febbre a 39°, ma nello stesso tempo cercava di tranquillizzarmi: “Cercherò di riprendermi in fretta. Tieni le dita incrociate”.

Se qualcuno viene a parlarmi in toni entusiasti della continuity, vi avviso che ho caricato la Colt 45 e non esiterò a premere il grilletto. Perfino con le dita incrociate.

mercoledì 1 luglio 2009

ALICE IN FUNLAND

Dopo parecchio tempo ho scritto un articolo per il sito. Ero indeciso se metterlo nel blog, ma dato che parla di vita vissuta e non di fumetti, alla fine ho optato per il sito, che ha una sezione dal fantasioso titolo "Altro". Oltretutto dovevo qualche spiegazione ai miei amici, a cui ho comunicato un numero di telefono che ho cancellato dopo pochi giorni. Se vi interessa sapere il perché, andate sul sito e leggete Alice nel paese della cuccagna. E che Lewis Carroll mi perdoni.