mercoledì 14 ottobre 2009

STRUTTURE

Fateci caso: in un film mainstream tutti i personaggi principali vengono presentati e caratterizzati nei primi 10–12 minuti. E la struttura standard di tre atti, codificata dal cinema americano con lo schema di Syd Field, pone il turning point – l’evento che imprime una direzione precisa alla storia – tra il ventiquattresimo e il ventisettesimo minuto. Perciò, prima che sia passata mezz’ora sappiamo invariabilmente di cosa parlerà il film.

Se non mi credete, mettete su un dvd e controllate il timer. Io l’ho appena fatto con Wilderness, un buon horror di genere “survival” diretto da Michael J. Bassett. I primi dieci minuti sono dedicati alla presentazione dei giovani detenuti protagonisti della storia. Al minuto 25 i nostri si accorgono della presenza di morsi su un cadavere, segno che c’è “qualcosa di strano” sull’isola. Quello è il turning point, perché da questo punto capiamo che quel “qualcosa” si accinge a massacrare tutti.

Effettuare questa operazione di timing quando scriviamo un romanzo non è possibile. Non solo per ovvi motivi tecnici (differenze di stampa e di formato tra un libro e l’altro), ma perché l’elemento “tempo” non è oggettivo, è interiorizzato dal lettore e varia da persona a persona. Banalmente parlando, possiamo dire che una storia non deve iniziare né troppo presto né troppo tardi. Ma in un romanzo non si può predeterminare a freddo (come invece accade in uno script per il cinema) il numero della pagina in cui va inserito il turning point.

Sarebbe anzi interessante vedere un film tratto da un libro, individuare l’evento che costituisce il turning point e controllare poi sul libro a quale pagina si trova. In base allo schema di Syd Field, il turning point si trova a circa un quarto del film (prendendo come modello un film di due ore) o a un terzo (se prendiamo il tipico horror da novanta minuti).

Ma in quale punto del libro si trova il turning point? Può darsi che, contando le pagine, alla fine la proporzione risulti la stessa osservata nel film. Quello che è certo è che nessuno ha mai provato a codificare una struttura generale per il romanzo come invece si è fatto per i film. O, se una simile struttura esiste, certamente non viene applicata con lo stesso rigore di quella di Syd Field.

Perché è così difficile codificare il romanzo? Perché il romanzo ha una struttura molto più elastica e meno "inquadrabile" di quella di un film o di un telefilm. E se noi leggessimo un romanzo “al buio”, cioè senza avere alcuna informazione su di esso, probabilmente faticheremmo a capire a quale genere appartiene (ammesso che appartenga a un genere) prima di avere letto un congruo numero di pagine.

E anche a lettura finita il dubbio potrebbe restare, specie in quei romanzi che utilizzano elementi chiave del “genere”, ma non si muovono rigorosamente dentro la struttura del “genere”. Pulp di Charles Bukowski è un poliziesco hard boiled? E Sotto la pelle di Michel Faber è un romanzo di fantascienza?

Se poi andiamo ad analizzare romanzi a fumetti – quelli veri, come Una ballata del mare salato, Maus, Persepolis – ci accorgiamo che non possiamo rintracciare in opere simili una struttura analoga a quella del racconto cinematografico, per quanto sotto l’aspetto visivo possano trasparire soluzioni “cinematografiche” (nella composizione delle vignette o nel montaggio). Proprio come un romanzo letterario, il “romanzo grafico” ammette digressioni, monologhi, cambiamenti del punto di vista.

Chi volesse tentare un approccio critico dovrebbe tenerne conto. E dovrebbe tenerne conto anche chi si avvicina a un “romanzo grafico” come lettore.

Non saprei parlare del primo tipo di approccio (non è il mio campo) e non intendo parlare del secondo. In un prossimo post vi parlerò invece dell’approccio dell’autore.

9 commenti:

Filippo ha detto...

Dici bene, la storia non deve iniziare né troppo presto né troppo tardi, secondo lo schema di Field CIRCA a un quarto o a un terzo del film, perciò di fatto il punto giusto non esiste, non è definibile con esattezza. Credo che dipenda molto dal lettore, dalla sua pazienza, dal suo grado di coinvolgimento, insomma è un fattore soggettivo più che tecnico. Vorrei capire cosa intendi per cinema mainstream; Wilderness è cinema mainstream? Hai giustamente ristretto il campo, perché non tutti i film (a differenza dei telefilm) hanno una struttura così rigida, tuttavia credo che la stessa cosa valga per i romanzi. Faccio un esempio, Dan Brown. Ho letto Il Codice Da Vinci e ho pensato "è perfetto per un film, sembra una sceneggiatura", poi ho letto Angeli e demoni fino a pagina 60 o 90 (non ricordo) e ho pensato "io l'ho già letto questo libro" (e l'ho accantonato). Non ho controllato se le due strutture coincidono, ma la sensazione è stata quella.
Stesso concetto per quanto riguarda il genere: ci sono film e romanzi facilmente e difficilmente catalogabili. Tutte le storie hanno un inizio, uno svolgimento e una fine (con tutte le varianti possibili), tutte hanno punti di svolta, climax, ecc., e non è possibile definire il punto esatto in cui debbano essere collocati nei romanzi, ma anche nei film e nei fumetti.
Si diceva che fosse impossibile trarre un film da Watchmen, ma è stato fatto e mi hanno detto che è abbastanza fedele, cambia il finale e molti hanno trovato migliore quello del film. Anche Persepolis è diventato un film d'animazione; non ho letto il fumetto perciò non so se il film l'ha stravolto, ma il fatto che la regista sia la stessa Satrapi mi fa pensare di no.

"Sarebbe interessante vedere un film tratto da un libro, individuare l'evento che costituisce il turning point e controllare poi sul libro a quale pagina si trova.[...] Può darsi che, contando le pagine, alla fine la proporzione risulti la stessa osservata nel film"

Non credo che funzionerebbe perché il film non è l'esatta traduzione in immagini del libro, ma una sua riduzione. Sarebbe più sensato trascrivere in forma romanzata il film e operare il confronto tra film e trascrizione.

Michele Medda ha detto...

Su Wilderness: diciamo che ha una struttura mainstream dentro il genere horror. E' un film compatto, ha personaggi caratterizzati in maniera funzionale e soprattutto un registro narrativo omogeneo. (A proposito, consiglio caldamente anche un altro film di Bassett, "Deathwatch", un horror ambientato in una trincea "maledetta" durante la prima guerra mondiale).

Che fosse impossibile trarre un film da Watchmen non era vero. Forse era impossibile (o molto difficile) per via dei limiti tecnici nel 1987. Ma per quanto riguarda l'adattamento in sé, qualsiasi cosa può essere adattata per il cinema. Il punto è adattarla *bene*, in modo che l'operazione abbia un senso (ho sempre pensato che Il Signore degli Anelli di Ralph Bakshi fosse un adattamento insensato).

Quanto alla ricerca parallela del turning point su film e libro, lo scopo dell'esperimento che propongo non è ristabilire un equibrio tra due forme scritte, ma proprio vedere come si sposta (ammesso che si sposti) il turning point quando la stessa storia viaggia su binari diversi.

E comunque la versione "scritta" del film c'è sempre, ed è lo script. E dato che una pagina di script corrisponde a circa un minuto di girato, individuare il turning point sul display del lettore dvd o sulle pagine dello script è praticamente la stessa cosa!

gianluca ha detto...

Altro interessante capitolo! E la struttura del film è talmente ben codificata che una qualunque eccezione resta ben impressa nella memoria. Io non sono un esperto, ma mi pare che sia difficile applicare questo discorso a "Memento" di Nolan. Del resto sono talmente poco esperto che non so nemmeno se "Memento" sia mainstream o no...

Filippo ha detto...

Non ho visto nessuno dei film di Bassett, ma rimedierò. Continuo a non concordare sul confronto. La versione scritta del film è la sceneggiatura, certo, una pagina corrisponde a CIRCA un minuto di girato, ok, ma il confronto non è tra il film e lo script (non avrebbe senso), ma tra il film e il romanzo. La storia è la stessa (ma nel film vengono eliminati personaggi, situazioni, ecc., meno importanti; e qui sorgono le domande: perchè nel romanzo ci sono? Sono veramente utili alla vicenda dato che la storia filmica funziona comunque?), ma non è identica (il film durerebbe altrimenti 10 o 20 ore). Esistono i romanzi tratti dai film. Ho quello del Batman di Tim Burton; sono 203 pagine che trascrivono in romanzo il film di due ore. Lo script è la versione scritta del film, ma la versione romanzata è un'altra cosa.
Se per esempio nel romanzo compaiono Tizio e Caio (con un paio di capitoli dedicati) prima del turning point e nel film quei due personaggi sono stati eliminati perché ritenuti non determinanti ecco che la storia resta la stessa, ma non è identica ed ecco che il punto di svolta può risultare posticipato rispetto al film e non mantenere le proporzioni. Spero di essermi spiegato.

Michele Medda ha detto...

No, Filippo, non ci siamo. Scrivi: "nel film vengono eliminati personaggi, situazioni, ecc., meno importanti; e qui sorgono le domande: perchè nel romanzo ci sono? Sono veramente utili alla vicenda (...)?"

Non confondere la "utilità" filmica con una "utilità" narrativa in senso assoluto, che non esiste. Esiste una "utilità" (di un personaggio, di una situazione, di uno snodo del plot) contestualizzata di volta in volta. E in linea di massima direi che è molto difficile dire che qualcosa in un romanzo possa essere realmente "inutile" al romanzo (a meno di non trovarci di fronte a un romanzo davvero mediocre).

Un elemento può essere "inutile" nei confronti del plot (quindi sarà eliminato nell'eventuale adattamento cinematografico), ma può contenere un elemento funzionale al tema del romanzo, o alla caratterizzazione di un personaggio, alla descrizione di un ambiente, etc.

Ribadisco: un romanzo di solito ha una struttura narrativa più complessa di quella di un film (il film ha ovviamente dalla sua una complessità di altro tipo, visiva e anche sonora).

Quello che passa dal libro al film è la *trama* del libro, e a volte (raramente) lo *spirito* del libro. Il romanzo tratto dal film (la novelization) è un'altra cosa ancora. Lo script, invece (almeno la versione definitiva) *è* il film.

Quindi, se vogliamo, possiamo esaminare il turning point (o qualsiasi elemento del plot) su tre "oggetti" diversi:

a) lo script (o il film, è lo stesso)
b) il romanzo (o il racconto) di base
c) la novelization del film

Mi hai fatto venire in mente un'interessante osservazione di Stephen King sulla "inutilità" di certi passaggi di un romanzo. Ora vado a cercarla e se la trovo continuiamo il discorso.

Filippo ha detto...

Bè, trovala assolutamente perché sono molto interessato. Concordo in pieno con le osservazioni del tuo ultimo commento.

"Un elemento può essere "inutile" nei confronti del plot (quindi sarà eliminato nell'eventuale adattamento cinematografico)"

Era quello che volevo dire nelle righe che hai citato in incipit ("nel film vengono eliminati personaggi, situazioni, ecc., meno importanti; e qui sorgono le domande: perchè nel romanzo ci sono? Sono veramente utili alla vicenda (...)?"), ma evidentemente mi sono spiegato male.

Quando si parla di elementi inutili per il plot penso sempre alle descrizioni delle decorazioni (di non ricordo cosa, forse una chiesa) ne Il nome della rosa di Umberto Eco. Mi hanno annoiato a morte, ma ho proseguito la lettura fino e non oltre pagina 100. Il romanzo di Eco non è solo un giallo, certo, il problema è che tutto il resto (storia, filosofia, arte, ecc.), per quanto fosse utile alla caratterizzazione, all'atmosfera, alla descrizione, per me è stato assai pesante. Insomma, invece di travestire un saggio da romanzo giallo è meglio scrivere un saggio oppure un giallo. E' vero che tra i diritti imprescrittibili del lettore Pennac annovera il diritto di saltare le pagine, ma c'è pure quello di non finire il libro.

Marco ha detto...

Non per fare gli istruiti, ma per dare ad Aristotele quel che è di Aristotele, diciamo che il primo a occupasi di questa roba (con buona pace di Syd Field)è stato lui nella Poetica, poi ripresa dalla tradizione tatrale
Quello che trovo interessante nelle struttura degli atti come la intendono a Hollywood, non è tanto la distinzione degli stessi come progressione di eventi, quanto il fatto che molti sceneggiatori la utilizzano in parallelo al cosiddetto "arco di trasformazione" del personaggio. Per cui i "turning point" non sono solo sul piano dell'azione, ma anche su quello emotivo del protagonista. Questo accade soprattutto nei film drammatici e funziona. Nei film di avventura credo che funzioni meglio il modello del "Viaggio dell'Eroe" di Chris Vogler e credo che questo modello sia anche più vicino a quello che accade in un fumetto. Anche se qui, forse va fatta una distinzione fra "opera singola" e "opera seriale". Perché il contesto è narrativamente diverso sul piano della presentazione dei personaggi, del mondo raccontato, etc.

Michele Medda ha detto...

Giusto, Marco. Non ho parlato della Poetica perché è un antecedente nobile, ma non riguarda il cinema.

Discutere il turning point sul personaggio richiederebbe un volume apposito, perché il turning point del plot è quasi sempre evidente, ma quello del personaggio spesso è mascherato.

Il personaggio può anche ignorare di avere un obiettivo (spesso psicologico, ma non solo), e in tal caso il turning point si può ricavare solo "a posteriori", dopo avere visto come va a finire la storia. Oppure l'obiettivo del personaggio può cambiare anche nel giro di pochi minuti (il primo esempio che mi viene in mente è The Hitcher di Robert Harmon).

Poi, è giusto ricordare che l'arco di trasformazione non è obbligatorio (e nel caso dei personaggi seriali è addirittura vietato).

Un'ultima cosa. Non sono il solo a trovare il modello di Vogler utile a una lettura critica, ma decisamente poco "maneggevole" ai fini di una applicazione pratica. Viceversa, trovo il modello di Field ancora efficace.

Filippo ha detto...

Direi che il discordo di Marco non fa una piega. E anche quello di Michele. Penso che lo schema di Vogler (allo stato puro) sia più riscontrabile in un Fantasy come Il Signore degli Anelli, per esempio; è più facile trovare una forma spuria dello stesso con la componente emotivo-psicologica e l'arco di trasformazione del/dei personaggo/i.