domenica 11 ottobre 2009

I SEE BAD TIMES TODAY


Chi sostiene di avere a cuore le sorti del fumetto dice che non è un male se ci saranno meno fumetti. L’importante è che siano buoni, no?

Il tipico nerd fumettomane è convinto che verrà un’Apocalisse che risparmierà i giusti. Una divinità collerica ma benigna punirà i malvagi facendo chiudere le loro serie (di infimo livello qualitativo) e lascerà salvi gli Artisti con la A maiuscola.

Mi spiace deludere il nostro nerd: quando la falce della Grande Crisi si abbatterà su di noi non farà differenze tra uomini e donne, militari e civili, artigiani e artisti, quelli che hanno letto Watchmen e quelli che sono fermi a Tiramolla. Ci spazzerà via tutti, decretando la fine del mestiere del fumetto.

Questa prospettiva non turba affatto chi vede con simpatia la crisi dei mezzi di produzione capitalistici, e di conseguenza l’ipotesi di fumettisti costretti a timbrare il cartellino di giorno e a lavorare la notte. Dopotutto, cosa vogliono questi scansafatiche? Quello dei fumetti “non è lavoro vero”. Come si dice, “non è mica come in miniera”.

Secondo queste anime belle, il lavoro artistico, una volta libero dalle catene della produzione capitalistica, si monderà di ogni impurità e di ogni compromesso. E uscirà immacolato dalle mani dell’artista per proporsi al lettore in una mirabile comunione di anime elette.

Questa è una sciocchezza che bizzarramente riacchiappa “a sinistra” la convinzione religiosa (o superstiziosa, fate voi) dell’artista che, ispirato da Dio, non ha bisogno d’altro che ascoltare la Sua voce. Ed è una sciocchezza pericolosa. Pericolosa perché sposta il discorso relativo all’arte sul piano metafisico, verso un’Arte come Verità Rivelata che non ammette critiche, perché non è mica prodotta in serie. È Arte perché sì, e tanto basta. Tutti saranno artisti, basterà proclamare di esserlo. Ma se tutti saranno artisti, la conseguenza – ipocritamente ignorata – è che nessuno sarà artista.

La verità è che non c’è arte senza artigianato. Non c’è arte senza senza l’apprendistato, senza gli errori. Non c’è arte senza il confronto con i mezzi di produzione, con la committenza, perfino con la censura. Non c’è arte senza Classici da emulare o da abbattere. E tutto questo non si può avere – o al massimo si può avere assai raramente – con un’arte a mezzo servizio, praticata nei ritagli di tempo. L’arte è pratica quotidiana. L’arte si impara, giorno dopo giorno.

Ne avevamo già parlato qualche anno fa. Per almeno due decenni (gli anni sessanta e settanta) in Italia sono maturati talenti straordinari. È stato possibile perché l’editoria era così fiorente che consentiva infinite occasioni di lavoro. Chi voleva “fare i fumetti” poteva esordire facilmente. E i talenti avevano la possibilità di crescere e affinarsi attraverso esperienze diverse, trovando infine ciascuno un proprio percorso.

Oggi questa possibilità è ridotta al minimo. Diciamo pure al grado zero.

E quando il fumetto – il fumetto popolare, quello che va in edicola ogni mese – scomparirà dagli scaffali, sarà la fine del mestiere del fumetto in Italia. Il medium fumetto non scomparirà, naturalmente. Rimarrà come hobby da dopolavoro, o come reperto archeologico per paleontologi della cultura e per nostalgici, oppure come fenomeno modaiolo da riproporre ciclicamente come vintage.

Forse – io ne dubito – sarà comunque un fumetto di Alto Livello Qualitativo. Ma non sarà più quella forma d’arte pulsante e vitale che ha inciso nell’immaginario di un secolo.

18 commenti:

Luca Erbetta ha detto...

Nonostante tutto, il fumetto è l'unica forma artistica che sopravvive senza contributi statali, senza SIAE, senza canone.
Se l'ecatombe arriverà, credo che colpirà ben altri, prima di noi.

Tizius ha detto...

Se non fossero bastate le tue parole nel recente incontro a Bergamo, questo post rafforza la tua idea pessimista sul futuro del fumetto. Io spero che la situazione non sia poi così nera... però magari tu che frequenti e sai i "dietro le quinte" della più grossa (se non "unica") casa editrice fumettistica italiana, probabilmente hai maggiore concretezza di dati e informazioni.
Per intanto io, da buon sognatore, continuo a sperare.

Vernè ha detto...

Credo che, essendo uno di loro, siano i lettori "anziani" a mantenere ancora un pò di vitalità nel "mercato" dei fumetti. Avendo nostalgia dei tempi in cui i "giornalini" erano l'unico svago fantasioso che era loro permesso,si ritrovano oggi con la possibilità di "recuperare" qualcosa del loro "tempo dell'innocenza". Non a caso la ristampa a colori di Tex sta ottenendo uno strepitoso successo. E, conoscendo alcuni frequentatori dell'edicola dalla quale mi servo, posso dire che sono gli ultracinquantenni ad acquistarla.
Oggi i giovani hanno altre "fonti" per coltivare il loro immaginario. Internet, purtroppo, è una di queste. Purtroppo, perchè " qualsiasi mentecatto che dispone della connessione e dell'uso delle falangi (non meningi, perchè allora non sarebbe mentecatto...)può diffondervi la prima stupidaggine che gli viene in mente".
E si nutrono di "facebook".
Ed il mondo virtuale assume le sembianze di un luogo dove tutto è permesso . (E faccio una triste considerazione anche del mondo reale: non lo sappiamo più vivere!; i mass media ci stanno rincoglionendo e passano solo ciò che conviene al "potere". Ogni riferimento a "persona" e cose imboniteci è "voluto".)
Ritornando al post, non posso che essere in completa sintonia con Michele, pur essendo un puro e semplice lettore e fruitore e non essendo quindi "dentro" i meccanismi editoriali e non conoscendone le problematiche .
A quando il terzo post sulle copertine?

Michele Medda ha detto...

Rispondo a tutti: sono più di dieci anni che ripeto le stesse cose, e attendo ancora di essere smentito.

In questi dieci anni le vendite sono diminuite ulteriormente, e il mercato non ha visto l'ingresso di nuovi editori "veri", in grado di espandersi, di dare lavoro e di fornire un nuovo impulso al settore. Se prima "l'emigrazione" dei talenti in Francia o negli USA era una necessità solo per chi non trovava spazio nell'angusto mercato italiano, ora sta diventando una necessità per tutti.

Poi, per carità, i miracoli possono sempre accadere, in teoria le cose potrebbero cambiare anche nello spazio di un anno o due. Ma mi sembra un po' come sperare di vincere alla lotteria. E ogni anno che passa ci impoverisce di talenti e di prospettive.

Filippo ha detto...

E se invece di guardare al passato (nostalgico) e al futuro (cupo e misterioso) ci concentrassimo solo sul presente? Il passato è passato il futuro è ignoto, col presente ci abbiamo a che fare. Viviamolo, affrontiamo i problemi e superiamo gli ostacoli quando si presenteranno.

gianluca ha detto...

@Filippo: noi possiamo fare come dici tu, forse anche Medda può fare come dici tu... ma il lavoro di un imprenditore (quindi anche di un editore) è di fare progetti a lunga scadenza, pianificare gli investimenti. Le aziende che vivono solo il presente chiudono presto.

Luigi Spagnolo ha detto...

@Verné: La mia è una visione di parte (ho 26 anni e soprattutto ono un informatico), ma non credo che la crisi del fumetto sia granché imputabile a Internet, penso che abbiano avuto molta più influenza i videogames, e soprattutto la televisione commerciale e il dilagare delle serie TV che ai gloriosi tempi dei "giornalini" non c'erano o c'erano in misura ridotta.

Credo piuttosto che Internet e le tecnologie digitali possano semmai contribuire a rilanciare il fumetto. Primo perchè mai come ora gli appassionati di fumetti possono ritrovarsi, discutere fare gruppo, e gli autori possono avvicinarsi al loro pubblico. Ad esempio io trovo straordinaria la possibilità - di conoscere
i segreti delle sue storie, di porre domande e ottenere risposte - che Medda ci offre attraverso il suo blog.

In più le tecnologie digitali offrono la possibilità di trasformare il mezzo fumetto, di creare nuovi formati (per cellulare, iphone/ipod, tra poco anche l'e-book...) e nuove forme di business per raggiungere almeno in un prossimo futuro anche il mercato più "giovane".
Certo ci sono anche insidie... come quella dei diritti d'autore.

Una curiosità: per il lancio del suo browser un anno fa, Google ha scelto di diffondere un comic book http://blogoscoped.com/google-chrome/
Non è straordinario che una delle aziende al mondo che più rappresenta l'innovazione tecnologica scelga il buon vecchio fumetto per comunicare?

Delirium Esc ha detto...

Io credo che il media fumetto abbia pochissima visibilità, e di conseguenza pochissime possibilità di fare nuovi proseliti.

E' una filosofia ormai radicata da tempo quella che vede il mondo del fumetto italiano come universo totalmente a sé, scollegato da tutto il resto della "Grande Industria dell'Intrattenimento".

Purtroppo quello che manca al fumetto italiano recente è una vera e propria pubblicità.
Trovo una tattica un po' suicida che questa pubblicità venga ospitata solo nel ristretto cerchio delle riviste e delle pubblicazioni fumettistiche.

A parte il discorso artistico (di cui condivido ogni parola con Michele) credo che sia ormai necessario per il fumetto sdoganarsi dal ruolo di nicchia che ha da decenni.

Michele Medda ha detto...

Luigi, per una sinergia con i nuovi media occorre un cambiamento di mentalità da parte degli editori. Qualcosa l'ha fatta la Astorina per Diabolik, a dire il vero, ma è una goccia nel mare.

Delirium, pienamente d'accordo con quello che hai scritto qui, dalla prima all'ultima riga, e si ricollega a quanto detto sopra.

Per Filippo: non sai quanti autori sono finiti alla canna del gas per non avere pensato al futuro quando era il momento di farlo. Nota che non metto faccine. Non è una battuta, purtroppo. Anche qui, problema di mentalità. Se sono gli stessi autori a pensare che "non è un lavoro", come si fa a pretendere che lo pensino tutti gli altri?

Filippo ha detto...

@gianluca: non mi riferivo agli imprenditori e agli editori, sono d'accordo con quello che hai scritto.

@Michele: penso che fare fumetti SIA un lavoro, non volevo dire che non lo considero tale e nemmeno suggerire di considerarlo in tal modo, forse mi sono spiegato male. Ho capito il tuo discorso, prevenire è meglio che curare, però bisogna essere certi di quello che si vuole prevenire, e la certezza del futuro non ce l'ha nessuno. Tutto ha un inizio e tutto ha una fine, ok, ma se ogni volta che iniziamo qualcosa pensiamo a quando finirà...
Se non sono gli editori a cercare di risollevare la situazione, chi può farlo?
Puoi, per favore farmi un esempio (senza fare nomi o inventato) di come un autore possa finire alla canna del gas per non aver pensato al futuro? Penso di non aver capito cosa intendi e come sia possibile. Grazie in anticipo.

Preciso che considero il pessimismo la miglior forma di ottimismo, forse predico bene e razzolo male.

Michele Medda ha detto...

Filippo, mi pare ovvio che qui tutti consideriamo fare fumetti un "lavoro vero". Come fa un autore di fumetti a finire alla canna del gas? Alcuni esempi...

finisci alla canna del gas non pagandoti una pensione per quarant'anni, e ti ritrovi ottantenne con la necessità di lavorare per vivere. E arrivati a quell'età, sai, qualche problemino alla vista c'è per tutti, ammettendo che l'artrosi ti permetta di tenere la matita in mano...

Oppure: pensando che la collana a cui collabori durerà per sempre, consentendoti di mantenere non solo i tuoi figli ma anche i nipotini. Per poi ritrovarti con un pugno di mosche quando quella collana chiude, e tu non sai disegnare altro perché non hai mai disegnato altro.

Oppure: convincendoti che il tuo talento sovrumano ti dispensa dall'aggiornarti come fanno tutti, col risultato che nel 2009 continui a disegnare telefoni a disco e non sai com'è fatto un computer, e non dipendi più dal tuo talento, ma dalla misericordia altrui.

Oppure: "rompendo" con un editore che ti ha sempre pagato puntualmente, nella convinzione di avere alla porta munifici mecenati pronti a pagarti tanto oro quanto pesi. Ma davanti alla tua porta c'è solo lo zerbino, che è quello che diventerai tu quando tornerai strisciando dal tuo editore.

Vado avanti, Filippo? No, sai, perché la lista rischia di essere molto lunga...

Filippo ha detto...

No, no, non c'è bisogno, ho capito (anzi, a questo punto AVEVO capito), ma cosa c'entra con la crisi del fumetto? Queste sono tutte preoccupazioni del singolo autore, che rischiano di "cancellare" l'autore stesso non il fumetto in generale. Se una persona considera il fumetto un lavoro lo tratterà come tale, se lo considera un hobby da praticare nei ritagli di tempo non terrà conto delle cose che hai scritto (e di molte altre) conscio dei pericoli che corre (magari ha un altro lavoro). Insomma, questi sono fatti privati del singolo che CREDO non siano determinanti della situazione attuale del mondo fumetto. Per ogni fumettaro che considera la sua attività un non-lavoro ce n'è uno che la pensa all'opposto.

Tizius ha detto...

Io credo che i videogames debbano essere colti come un'opportunità e non solo come un pauroso rivale. Perchè da lettore di fumetti e amante dei videogames vedo molte possibili sinergie tra i 2 media. PEr esempio conservo ancora i videgiochi-fumetti della Simulmondo che pur essendo dei videogames di livello non eccelso avevano il pregio di far interpretare i miei eroi più amatio. Certo in Italia non essendoci Software house la cosa è alquanto difficile, se non impossibile. Ancora al giorno d'oggi ci sono esempi di fumetti tratti da videogames (Gears of war o Prototype) e anche questi non mi sembra che eccellano per qualità...
Però potrebbe essere un mondo che si apre... chissà.

Michele Medda ha detto...

Filippo, nell'ultimo post rispondevo alla tua domanda: mi chiedevi degli esempi su come può un fumettista finire alla canna del gas. Con la crisi del fumetto non c'entra, però c'entra. Non c'entra perché quelli che ti ho elencato sono casi singoli, ma c'entra perché la mentalità della cicala sotto sotto (ma neanche sotto sotto, anzi, sopra sopra) è molto diffusa, ed è anche quella che ha portato gli editori di fumetti a estinguersi.

Tizius ha detto...

Mi son venuti in mente altri esempi di collaborazione tra il mondo dei fumetti e quello dei videogames, questa volta ben più illustri... I charachter design dei giochi Blue Dragon e Last Odissey realizzati rispettivamente dai maestri assoluti Akira Toriyama e Takehiko Inoue. Certo che questi esempi giungono dal Sol Levante dove sia fumetti che videogames hanno una considerazione ben diversa rispetto a quella che hanno in Italia.

Filippo ha detto...

Ok, MIchele. E' che mi sembra incredibile che ci siano così tanti autori di fumetti che s'ispirano alla cicala. Mi stupisce molto la cosa; perché hanno deciso d'intraprendere la professione se non la considerano tale (?). Tu sei nell'ambiente e mi fido di ciò che dici, ma permettimi di restare a bocca aperta.

Roberto ha detto...

caro Medda,
non riesco a capire chiaramente dove in questo tuo scritto finisca l'appassionato di fumetti e dove inizi il sindacalista della categorie dei fumettari.
Non dico che una cosa sia importante e l'altra meno, ma a noi lettori interessa solo la prima categoria, mischiare le carte diventa invece intellettualmente scorretto.
Come i prof precari della scuola, che (legittimamente) vogliono difendere il loro posto di lavoro.
Ma lo fanno tirando in ballo la qualità della scuola, dell'insegnamento, ecc.

Michele Medda ha detto...

Caro Roberto,

a differenza degli insegnanti (giustamente) preoccupati, io non ho bisogno di difendere il mio posto di lavoro. Non ho rivendicazioni salariali da avanzare, non ho punteggi da ottenere, non ho un "posto fisso" da mantenere, o a cui legittimamente aspirare.

Quando tutte le testate di fumetti chiuderanno, farò qualcos'altro o mi godrò la pensione (pagata coi *miei* risparmi, senza gravare sulle tasche dei contribuenti).

Il post è rivolto a quei lettori che cianciano sull'Alto Livello Qualitativo. Dico loro di non farsi illusioni. Meno fumetti non vuol dire più Qualità, vuol dire meno Qualità.

E mi rivolgo anche a chi da grande vuole "fare i fumetti": lo avviso che ora è già difficile, domani sarà ancora più difficile, per non dire impossibile.

Tutto qua.