sabato 4 luglio 2009

F@##ING CONTINUITY!

Da Wikipedia italiana:

Continuity (in italiano continuità) è un termine inglese con cui si definisce, nelle opere di finzione, la coerenza e la non contraddittorietà nello svolgimento e sviluppo di eventi, situazioni e vite dei personaggi. Il termine si rifà al concetto matematico di continuità, che si applica ad una funzione intuitivamente "liscia", senza salti o sbalzi, ed è utilizzato per tutti i media, in particolare fumetti e telefilm.

Detto in altre parole, si dice che una serie a fumetti è "in continuity" quando in ogni episodio si tiene conto degli episodi precedenti. I protagonisti ricordano tutto ciò che hanno "vissuto" e si comportano di conseguenza, "in continuità", appunto, con le passate vicende.

Tex è il tipico fumetto "non in continuity". Nathan Never è "in continuity" (secondo Wikipedia è il personaggio italiano più simile alla formula editoriale americana, e probabilmente è vero).

Una delle prime domande rivolte al sottoscritto durante la presentazione al pubblico di Caravan è stata: “Ma Caravan è una serie in stretta continuity?”. Purtroppo lo è. Ma io la odio, la continuity. La odio prima di tutto da lettore, perché magari ti capita di leggere un episodio e di scoprire che in mano non hai niente, hai solo un mozzicone di storia che non inizia – perché è iniziata sei mesi fa – e che non finisce (perché finirà tra sei mesi).

Da quando i fumetti non solo li leggo, ma li scrivo, il mio odio per la continuity è cresciuto. Quando scrivo Dylan Dog, grazie al cielo (e a Tiziano Sclavi), per fortuna non ho problemi. Quando scrivo Nathan Never evito come la peste la continuity, e lascio agli altri (Antonio Serra in primis) il compito di portarla avanti.

D’altronde, il nostro direttore Decio Canzio ripete sempre che i più grandi successi della casa editrice sono due serie che ignorano la continuity: Tex e Dylan Dog. E almeno su queste, che ormai sono definite “maxi–serie”, non esiste una ragione pratica al mondo per usare la continuity.

Sia come sia, gli adoratori della continuity (al 99,9% ciechi adoratori del fumetto americano) non si rendono conto che la continuity stretta è una caratteristica del fumetto americano perché il fumetto americano ha caratteristiche tali da permetterla.

Un albo americano – 24 tavole in media – può essere realizzato in un mese, considerato che spesso gli sfondi non sono disegnati e il lavoro è diviso tra matitista e colorista. E se il disegnatore si accorge che sforerà, i tempi di lavorazione sono così brevi che è possibile realizzare in tutta fretta un fill–in, un albo “tappabuchi” fuori dalla continuity, e farlo uscire al posto dell'albo posticipato.

Ora, scusate la pedanteria, ma seguitemi mentre facciamo un po’ di conti: un albo italiano consta di 94 tavole, non di 24. Se ai tempi eroici un disegnatore come Renato Polese poteva realizzare un albo in tre mesi, oggi un disegnatore impiega non meno di otto mesi per realizzare quelle novantaquattro tavole. Notate che dico “non meno”. Più il tempo necessario per rileggere, correggere, scrivere il lettering. E infine stampare il tutto.

Insomma: salvo fortunate eccezioni, nel momento in cui leggete uno dei nostri albi sono passati almeno dodici mesi da quando il disegnatore ha posato la matita sulla tavola 1.

Un anno è un tempo maledettamente lungo, durante il quale può succedere di tutto. Per un mese si può anche tenere a bada il mondo esterno, procrastinando il procrastinabile fino alla consegna dell’ultima tavola. Per un anno questo non si può fare. Sperare che la sorte ti lasci in pace per farti completare un albo nei tempi programmati è spesso una penosa utopia.

Lavorando su una serie a episodi autoconclusivi come Tex o Dylan Dog, un disegnatore che “buca” una consegna non provoca grossi sconquassi. L’albo programmato viene sostituito con un altro. Non sempre è semplicissimo modificare la scaletta, ma diamine, i redattori sono là per quello.

Ovviamente, sostituire un albo in una serie in continuity non è possibile. Ogni albo deve uscire nel mese per cui è stato programmato. Nell’ambito di una miniserie, il ritardo in una consegna significa far slittare la data d’uscita dell’intera serie o, se la serie è già in edicola, "bucare" l'uscita mensile.

Dato che per una miniserie "in continuity" è necessario mettere al lavoro una decina di disegnatori (a meno di non avere un vero velocista, è difficilissimo che un disegnatore possa realizzare più di tre albi di una miniserie), occorre incrociare le dita e sperare che dieci persone, per un anno, non abbiano inconvenienti che rallentano il lavoro. Era John Lennon, se non sbaglio, che disse: “La vita è quello che ti accade mentre sei intento a fare altri progetti”. In vent’anni di professione ho visto storie interrotte per i motivi più svariati: malattie, traslochi, matrimoni, divorzi, incidenti domestici, ristrutturazioni, crisi depressive.

E se tutto fila liscio, comunque, esiste un altro problema pratico tipico delle miniserie: i disegnatori non lavorano tutti alla stessa velocità. Significa, per esempio, che ti ritrovi con il numero 5 più avanti nella lavorazione rispetto al 4. Dov’è il problema? Semplice: il disegnatore del 5 non ha a disposizione quegli elementi (quel determinato personaggio/ambiente/scena) che dovevano essere introdotti nel 4 per poi essere ripresi nel 5 e negli albi successivi. Quegli elementi, quindi, dovranno essere visualizzati dal disegnatore del numero 5, e sarà poi il disegnatore del 4 a regolarsi sul 5.

Moltiplicate questo problema per un numero n di volte (ripeto: disegnatori diversi, velocità diverse!) e aggiungete che, per esempio, dovete anche ricordare in quale vignetta compare l’auto di un certo personaggio. Cosa facilissima dopo avere scritto due o tre episodi della serie. Dopo averne scritti cinque, non ricorderete nemmeno in quale albo era comparsa l’auto di quel personaggio e lo farete disegnare su un camper. Ammesso che di quel personaggio ricordiate l’esistenza.

Uno degli albi di Caravan ancora in lavorazione deve assolutamente essere chiuso in pochi mesi. Ho proibito al disegnatore di ammalarsi. Appena ho finito di parlare al telefono con lui mi è arrivata un’e–mail da un altro disegnatore, quello che ha in mano l’episodio successivo: mi informava che aveva la febbre a 39°, ma nello stesso tempo cercava di tranquillizzarmi: “Cercherò di riprendermi in fretta. Tieni le dita incrociate”.

Se qualcuno viene a parlarmi in toni entusiasti della continuity, vi avviso che ho caricato la Colt 45 e non esiterò a premere il grilletto. Perfino con le dita incrociate.

20 commenti:

Nemo ha detto...

Ciao Michele. innanzi tutto complimenti per i tuoi lavori. In particolare sono un tuo "veneratore" dal mondo Neveriano, ma ho letto con immenso piacere Digitus Dei, ed adesso Caravan.
Molto bello questo post, soprattutto la parte sul ragionamento tecnico...
Adoro il contrasto fra il tuo odiare la continuity, ed il tuo invece realizzarla!
Mi permetto infatti di sollevare 2 appunti:
A me non piace il fumetto americano, mentre invece mi sono innamorato di Nathan Never grazie alla continuity, che per il fumetto italiano era una sorta di novità... e non è vero che la eviti come la peste! :)
Magari non le grandi trame... ma le tue storie ultimamente sono sempre state legate ad eventi importanti. Hai il dono di analizzare i significati dentro i significati, ed è questo che ha sempre elevato la continuity neveriana al di sopra delle altre.
Spero che ritroverò tutto questo anche in Caravan.
Grazie ancora dei tuoi splendidi lavori.

Filippo ha detto...

Sinceramente non la schifo la continuity e appartengo allo 0,1% che non adora il fumetto americano; non lo leggo, a parte qualche graphic novel.
Il discorso che fai, per quanto interessante, mi sembra un tantino contraddittorio. Dici di odiare la continuity e hai appena esordito con Caravan, inoltre scrivi Nathan Never. Insomma, è come se mi dicessi: "Odio i fagioli". E io: "Come ti capisco. Cosa mangi per cena?". E tu: "Zuppa di fagioli". E' un discorso che non sta in piedi, mi sembra, l'interlocutore si sente preso in giro.
Sono invece d'accordo sul fatto che la continuity nel fumetto italiano sia poco pratica, il tuo ragionamento non fa una piega, ma vedo che si fa comunque, nonostante i rischi. Se si può fare perché non farla?

RaSca ha detto...

Caro Michele,
sono completamente in disaccordo con te su questo tema.
Personalmente ho sempre letto di pari passo fumetti italiani ed americani, ho visto nascere Nathan ed i grandi cicli (che purtroppo non ci sono più) de l'Uomo Ragno di J.M. DeMatteis e non posso che dire una cosa: la continuity fa bene al personaggio.
In particolare ora che in america hanno rovinato tutto con vari reset, realtà parallele e patti col demonio (vedi "one more day"... brrrrr) c'è stata la prova che "rovinare" la continuity del personaggio aiuterà sì le nuove leve ad avere meno difficoltà ad ambientarsi, ma da un calcio in faccia agli affezionati che di fatto si trovano con un pugno di mosche al posto della storia di un personaggio che magari è cresciuto con loro.
Le difficoltà che illustri lato scrittore/disegnatore sono certamente comprensibili, ma amico mio, ognuno si sceglie il mestiere che ritiene più adatto! Oppure scrive Tex o Dylan Dog (che quelli come me non leggeranno mai con costanza).
Ho indossato il giubbotto antiproiettile e lo posso scrivere: "God save the continuity!".

Tutto questo non cambia di una virgola l'apprezzamento sul tuo lavoro, sia ben chiaro. In particolare su quello in continuity ;-)

Michele Medda ha detto...

Filippo, come ho scritto, su Nathan Never evito la continuity. Quanto a Caravan, essendo il tipo di storia che è (cioè non il tipico seriale con l’eroe), è “ontologicamente” in continuity, tanto che, a pensarci bene, mi sembra perfino fuori luogo parlare di continuity. Forse dovremmo parlare più correttamente di “storia a puntate”.

In ogni modo, quando ho cominciato Caravan avevo due possibilità: la prima era strutturare la storia come un continuo fluire, senza dare una chiusura a ogni episodio (quindi usare al massimo grado la continuity). La seconda possibilità era presentare una continuity legata solo alla macrotrama, inserendo in ogni episodio un “caso di puntata” (per dirla col linguaggio televisivo) con una storia che inizia e si conclude nel singolo albo. Ho scelto la seconda possibilità, coerentemente con le mie idee di lettore.

Poi, chiedi: “Se si può fare la continuity, perché non farla?”
Perché non dico che è ingestibile, ma certo è gestibile con molta difficoltà su un numero di pagine così elevato. Ed è assurdo – lo stiamo toccando con mano in questi mesi – affrontare nell’ambito di una produzione a fumetti artigianale un tipo di narrazione funzionale a un altro medium (la tivù), che ha ben altre strutture e ben altri mezzi per gestirla.

Inoltre – argomento che taglia la testa al toro – la continuity non influenza le vendite, e ha ragione Canzio: i nostri grandi successi sono serie che ignorano quasi completamente la continuity.

RasCa: che tanti lettori come te preferiscano la continuity lo so benissimo. Le difficoltà si affrontano, ma deve valerne la pena su entrambi i fronti: quello della soddisfazione artistica, nel vedere il proprio lavoro realizzato al meglio, e quello della soddisfazione economica. Con la differenza che un autore può vivere anche soltanto con la seconda. Con la prima soltanto, no.

Nemo ha detto...

Caro Michele.
Io invece ho colto nel tuo post un velato sarcasmo, molto divertente.
E capisco il tuo "sfogo" se mi concedi il termine.

Quando si parla di continuity, non per forza si intende quella completamente aperta, alla "Lost" per intenderci. Anzi....
La tua scelta su Caravan mi sembra la più azzeccata. E quindi è il caso di fare un distinguo fra 2 diverse tipologie di continuity che tu stesso hai illustrato.
Ora, parlando di Nathan Never, continuo a ribadire che non è vero che ti tieni al di fuori della continuity. La tua doppia del dopo caduta di Urania ne è un esempio, ma come quella su Bates. Non ti leghi certo alle grandi saghe in modo costante, ma le tue storie danno comunque un colore ai temi in corso. E secondo me è questa la chiave. Concordo che troppa continuity, troppe trame aperte portano ad incongruenze... oltre ovviamente ai problemi realizzativi (credo che le 2 cose siano strettamente legate).
Ma una continuy di tipo neveriano (il primo soprattutto), porta i lettori ad un legame più forte con il proprio eroe ed il suo mondo, che si evolve e cresce con loro.
Quindi non si tratta di mercato e di vendite.. ma di emozioni.

Spero che continuerai a far capolino su certi temi, altrimenti non avrebbero lo stesso "spessore"... complimenti ancora!

marti.giorgio ha detto...

spero di non essere troppo fuori tema, ma le persone più interessanti che ho avuto la fortuna di frequentare non conoscono la continuity neppure nella loro vita!
pausa.
nella letteratura per ragazzi, per esempio, è noto che la continuity è spesso un freno per l'immaginazione dei lettori (e lo diceva uderzo!) anche se gli editori la propugnano come gancio fidelizzante.
secondo me si dovrebbe fare un passo avanti e osare qualcosa di nuovo,penso alla scontinuity o alla broken succession di stampo drammaturgici.
pensiamoci (siamo nel 2009).
giorgio

Michele Medda ha detto...

Considerazioni interessanti, Giorgio, e che si possono allargare. In fin dei conti, la continuity è anche quella che tentano di imporci come utenti banche, assicurazioni, ipermercati, internet provider, società telefoniche e chiunque voglia venderci qualcosa. Cos'è una tessera punti se non istigazione alla continuity?

E se la via per un cambiamento radicale della società passasse per la rivolta contro la continuity?

Scherzo, ma mica tanto...

Vernè ha detto...

E se la via per un cambiamento radicale della società passasse per la rivolta contro la continuity?

Scherzo, ma mica tanto...

Certamente per gli esempi da te citati, sarebbe anche necessario ribellarsi.
Per quanto riguarda i fumetti, invece, essendo un lettore, mi permetto di rimarcare che la continuity se fatta garbatamente e in punta di piedi , come già Nemo ha ricordato nei primi Nathan Never, è una condizione imprescindibile per tenerti legato ad un fumetto.
Capisco invece l'avversione di chi scrive le storie e per certi versi gli viene tarpata la vena creativa e la libertà di fantasia perchè deve sottostare a situazioni ed eventi trascorsi che lo condizionano.
Probabilmente nel futuro ci saranno più romanzi a fumetti tipo Sighma o Gli occhi ed il buio che permetteranno agli autori una libertà maggiore e dei tempi per la realizzazione meno stressanti. Occorrerà però trovare una forma di pubblicizzazione tale da permettere il radicamento di questa nuova formula nei lettori di fumetti.

Filippo ha detto...

Ciao Michele, temevo usassi la Colt contro di me... Avevo già indossato il giubbotto anti-proiettili ;-) Ti ringrazio per la pazienza e la disponibilità e ne approfitto per insistere su alcune cose (mi sembra di poter discutere tranquillamente con te)... Di Nathan Never ho letto qualche albo soltanto, per cui mi fido quando dici che eviti la continuity (anche se Nemo sostiene il contrario). Per quanto riguarda Caravan mi sembra che tu abbia cercato l'arrampicata sugli specchi.

Una delle prime domande rivolte al sottoscritto durante la presentazione al pubblico di Caravan è stata: “Ma Caravan è una serie in stretta continuity?”. Purtroppo lo è.

Quanto a Caravan [...] a pensarci bene, mi sembra perfino fuori luogo parlare di continuity. Forse dovremmo parlare più correttamente di “storia a puntate”.

Quindi, prima dici che Caravan è una serie in stretta continuity, poi ci ripensi e dici che si tratta di una "storia a puntate". A questo punto mi viene spontaneo chiederti cosa intendi per storia a puntate (?). Credo, correggimi se sbaglio, sia una storia che viene raccontata, frammentata in diversi capitoli/albi, che, tra l'altro, è proprio ciò che prevede la continuity. Non mi interessa l'aggettivo antecedente o conseguente, l'importante è rendersi conto che la continuity c'è e che non è affatto fuori luogo. Anche quando evidenzi di aver scelto la struttura di una serie serializzata (esempio televisivo di successo è Dr. House),cioè macro-storia in continuity e caso di puntata risolto, non elimini affatto la continuità, c'è ed è quella che appassiona principalmente il lettore/spettatore, che lo invoglia a leggere/vedere l'episodio successivo; il caso risolto è un contentino e non è la storia principale. Caravan non l'ho ancora letto (lo leggerò, tranquillo), ma ciò che dici non fa altro che confermare sempre di più che si tratta di una serie in continuity.


Su Tex e Dylan penso che la presenza o meno della continuity non cambierebbe e non avrebbe cambiato nulla. Sono i due personaggi il punto forte delle rispettive serie a fumetti.

Inoltre – argomento che taglia la testa al toro – la continuity non influenza le vendite, e ha ragione Canzio: i nostri grandi successi sono serie che ignorano quasi completamente la continuity.

Con il discorso di cui sopra sono parzialmente d'accordo perché sono contrario alla generalizzazione. Non si può dire che una serie in continuity venderà di più di una serie classica come non si può dire il viceversa. Bisognerebbe esaminare ogni singolo caso e, se il prodotto va bene ed è in continuity non si può escludere quest'ultima dai motivi che hanno portato al successo di pubblico. Come puoi dire con certezza che la continuity non influenza le vendite?
Il buon Canzio ha ragione, certo, ma è un furbacchione perché c'ha messo il QUASI. I grandi successi Bonelli non ignorano completamente la continuity, ma QUASI completamente, il che vuol dire che non la escludono a priori, che in taluni casi la utilizzano (anche in Tex e in Dylan Dog), perciò la testa del toro non è tagliata del tutto e penso che l'animale non sia molto felice. Insomma, questa tanto odiata continuity è sempre presente, continua a esserci seppur osteggiata ;-)

Michele Medda ha detto...

Filippo, ti prego: cerca di fare uno sforzo e di non attaccarti alle virgole solo per amor di discussione.

Caravan è una serie a fumetti, e usa una struttura narrativa tipica del fumetto seriale (e del telefilm), che è la continuity.

Tuttavia Caravan non è esattamente un fumetto seriale, visto che si conclude col numero 12, e non ci sarà una “seconda stagione”.

Alla fine, quindi, è un romanzo (grafico) pubblicato a puntate, un po’ come se fosse un feuilleton (e spero che sia chiaro che in quell’ “un po’” sono comprese tutte le differenze dal feuilleton). Ed è pleonastico dire che un romanzo a puntate usa la continuity, perché un romanzo a puntate non ha alternative alla continuity, mentre un telefilm o un fumetto seriale sì.

Quanto alla struttura col “caso di puntata” tipo dottor House, il caso di puntata non è “un contentino”, come tu dici, ma parte integrante di quel determinato tipo di struttura seriale, caratterizzato dalla ripetizione di uno schema.

Inoltre, non è affatto vero che sia solo (o essenzialmente) la continuity ad appassionare il lettore/spettatore. Altrimenti non esisterebbero telefilm di enorme successo e di lunga durata (come Law & Order) che non usano affatto la continuity.

Sul discorso più specificamente bonelliano, i dati di vendita sono dati oggettivi e parlano chiaro.
Possiamo poi stare a spaccare il capello in quattro, e dire che piccoli elementi di continuity ci sono sia in Tex che in Dylan Dog, ma la verità è in che queste serie (come in Diabolik, per quanto ne so) la continuity conta quasi zero.

Concludo: la continuity è *uno* dei tanti approcci narrativi possibili, non necessariamente il migliore dal punto di vista artistico, non necessariamente il più efficace dal punto di vista del mercato.

Filippo ha detto...

Si, hai ragione, forse ho insistito un pò troppo e ti chiedo scusa. Grazie per non aver premuto il grilletto ;-) Alla prossima!

RaSca ha detto...

Ehi Michele,
il discorso che fai è vecchio come il mondo e lo condivido in pieno. Far quadrare le cose dal punto di vista artistico ed economico è sempre un gran casotto. E te lo dico con cognizione di causa, non ho mai preso alcun compromesso nelle cose artistiche che ho fatto ed ho finito per far l'informatico per campare.
Poco male, l'importante è addormentarsi in fretta la sera senza girarsi troppo nel letto.
Con rinnovata stima, come sempre.

Manfredi ha detto...

Sono un grande fan della continuity :-)
però non nel senso - non solo, per lo meno - di eventi catastrofici che si susseguono, bensì di evoluzione psicologica dei personaggi.

Con Caravan mi sembra che tu vada proprio in questa direzione. C'è anche l'altro mio pallino, la coralità (che invece su Nathan Never mi sembra non hai mai approfondito più di tanto).

Che poi questo sia una gran rottura di scatole in fase realizzativa lo capisco bene :-)

PS: ma il vecchio Nathan? Quando usciranno altre tue storie?

Ivan Vitolo ha detto...

Non entro nel pieno del discorso, ma solo in una parte di esso, almeno per quanto riguarda i tempi del disegnatore, beh volevo dire che una storia in tre mesi la si fa, io ne ho fatte in passato, spesso, e si accoglie con una festa se i mesi di lavorazione diventano 4, ovviamente parlo della Star Comics, che non è la Bonelli. Pero' mi fa strano leggere un discorso simile, riguardo le tempistiche, alla Star (non il dado da cucina)non puo' esistere il disegnatore che "buca", se buca viene rimandata l'uscita dell'albo, e si sa bene come una casa editrice non ami particolarmente che un albo ritardi l'uscita, poi in questi tre mesi o quattro, ci sono le revisioni(correzioni)fatte in fretta e furia praticamente il giorno prima di mandare in stampa l'albo, ho lavorato rallentando ma mai fermandomi del tutto con: malattie, traslochi, matrimoni, divorzi, incidenti domestici, ristrutturazioni, crisi depressive[soprattutto].
Aiuta(poco) la tempistica il fatto che le tavole non vengono spedite in "maniera Bonelli" tramite un corriere ma comodamente tramite mail.
Capisco lo stress di un anno dietro un albo, o meglio, non lo capisco, per me è fantascienza, pero' dico... 8 mesi per disegnare un albo? dove devo firmare?

ecco... mi sono sfogato... confusamente, ma mi son sfogato...:)

Michele Medda ha detto...

Scusa, Ivan, ma non ho capito il succo del tuo commento. Certo, è fisicamente possibile realizzare un albo in tre mesi... specie se i compensi sono molto bassi e il disegnatore vuole mangiare tutti i giorni.

Ovviamente, poi si capisce quando un albo è realizzato in tre mesi e quando un albo è realizzato in otto mesi.

Per citare un lavoro recente, lo splendido "Patagonia" (Tex Gigante n. 23) è il frutto di *tre anni* di lavoro. Il volume non sarebbe stato quel gioiello che è se Pasquale Frisenda lo avesse disegnato in un anno soltanto (cosa possibilissima per un disegnatore della sua esperienza).

E' chiaro che si cerca un equilibrio tra esigenze dell'autore ed esigenze dell'editore, tra i tempi dell'arte e quelli dell'industria.

Ed è un equilibrio, purtroppo, mai costante, e che si raggiunge faticosamente in modo diverso ogni mese.

Mi sembra una cosa evidente almeno per gli addetti ai lavori, quindi, davvero, non ho capito cosa suscita il tuo sconcerto.

Ivan Vitolo ha detto...

Ma niente di che, leggevo riguardo le tempistiche e la maggior parte del discorso lo capisco e lo conosco, il mio sconcerto, che poi sconcerto non è, sta nel fatto che per un anno o per 4 mesi il discorso quasi non cambia, ci sono gli stessi problemi anche in bonelli, ma con la fortuna che un numero puo' essere rimpiazzato o ritardato. Ho scritto comunque che era uno sfogo confuso e senza senso volendo dire che c'è un microcosmo,un formicaio veloce ed instancabile che quei tempi di lavorazione se li sogna, cosi' come pure io...e niente, mi meravigliavo che ci fosse questo Stress di consegna anche in Bonelli, pensavo, ingenuamente, che ci fosse piu' relax.
La mia era solo una vocina dal basso :D

Michele Medda ha detto...

Beh, Ivan, ci sono alcune considerazioni da fare: ai tempi eroici (diciamo fino a vent'anni fa) un ritardo o una consegna "bucata" non erano un evento comune, per via dell'età professionale (e anche anagrafica) dei disegnatori.

Il buon Letteri, per fare un solo nome, viaggiava su una media di trenta tavole al mese. Ovvio che se gli capitava un imprevisto era in grado di recuperare.

Con il diminuire dell'età e dell'esperienza dei disegnatori e con l'aumentare delle difficoltà del lavoro (nuovi scenari a ogni storia, un diverso tipo di inquadrature, una maggiore caratterizzazione dei personaggi, maggior grado di realismo etc.) era fatale che i tempi si allungassero. E che aumentassero in proporzione le possibilità di imprevisti e di ritardi.

Il punto è che prima il ritardo raramente costituiva un problema, vista la possibilità di avere una scaletta "elastica".

Con le miniserie (o meglio: con le miniserie in continuity) basta *un* disegnatore che sfora per costringere tutta la "filiera" a una precipitosa accelerazione.

Ecco perché le riserve sulla continuity non le ho solo come lettore.

Pasquale ha detto...

ciao Michele, l'argomento in questione è davvero interessante... a prescindere che, dirò un'ovvietà immane, ma continuity o meno l'importante è produrre buone storie (leggo dylan dog e john doe e li trovo entrambi buonissimi prodotti, e ora anche caravan! :p), mi stavo chiedendo se una soluzione non potrebbe essere quella usata da Recchioni per David Murphy, ovvero un'unico disegnatore per tutto l'arco narrativo (ovviamente per mini fino ai 6 numeri)

Michele Medda ha detto...

Pasquale, credo che a un unico disegnatore si potrebbero chiedere al massimo tre albi (a patto che sia ragionevolmente veloce).

Ma una formula del genere lascerebbe senza lavoro molti disegnatori. Cosa che peraltro si sta verificando anche con le mini-serie attuali, che ovviamente non danno nessuna garanzia di continuità lavorativa a chi vi collabora (e tagliano fuori gli sceneggiatori non autori).

Disegni un numero, due, tre se sei veloce... e poi?

Sono sicuro che sotto il profilo creativo mini-serie più brevi porterebbero a ottimi risultati. Ma non vedo come realizzarle senza mettere sul marciapiede, letteralmente, decine di autori.

Sulla carta puoi realizzare grandi piani di battaglia. Nella realtà, poi, non vuoi essere tu a fare la conta dei cadaveri. Da autore forse puoi anche permettertelo. Non sei tu che paghi i collaboratori, dopotutto.

Da editore il discorso cambia, come puoi immaginare.

Alessandro ha detto...

Ho sempre malsopportato la continuity. Ricordo la frustrazione per l'attesa di un finale che non arriva mai, penso ad esempio a Dago di Wood e Salinas, nato per essere una miniserie e poi diluito all'infinito al punto che, quando è arrivata l'ora della vendetta all'origine della storia, ogni energia era persa.
Per questo sono convinto che, se l'obiettivo è quello di creare personaggi "eterni", la cosa migliore sia evitare qualunque riferimento alla continuity.
Dylan Dog, il tenente Colombo... li leggo e li guardo senza mai stancarmi, proprio perchè ogni episodio è autosufficiente.
Però c'è un'eccezione che gradisco molto, e quell'eccezione è proprio il modello "Caravan". Infatti sappiamo già che la nostra attesa durerà 12 numeri. Questa è l'unica tipologia di continuity che apprezzo!