giovedì 28 maggio 2009

VOCI DALLA FINESTRA

Sono sicuro che se siete lettori “bonelliani” conoscerete un certo tipo di inquadratura che è ancora abbastanza frequente trovare su Tex: due persone stanno parlando dentro una stanza, e a un tratto la nostra immaginaria macchina da presa passa all’esterno e non le vediamo più. Sentiamo le loro voci dalla finestra. Nella vignetta successiva rientriamo dentro la stanza e rivediamo i due che continuano il loro dialogo.

Ecco, vorrei fare outing e dire che odio questa soluzione narrativa, che di narrativo non ha nulla. E anche se molti miei amici e colleghi la usano normalmente, nel solco della tradizione, vorrei che fosse vietata per legge.

Per me una inquadratura del genere - esterno e voci dalla finestra - è ammissibile solo come attacco; cioè quando si comincia una scena. In tal caso è la trasposizione a fumetti dell’establishing shot, l’inquadratura cinematografica che ci informa che stiamo cambiando luogo e tempo dell’azione.

Al cinema l’establishing shot con l’esterno di una casa può essere muto, perché tra una frazione di secondo staccheremo all’interno del luogo e vedremo i personaggi che parlano. Nel fumetto risparmiamo tempo prezioso, e cominciamo a far parlare i personaggi facendo sentire le loro voci. Nella vignetta successiva passeremo all’interno e vedremo chi è che sta parlando.

Questo è un modo corretto (non l’unico, ovviamente) di attaccare una scena.

Ma allora, perché staccare all’esterno nel bel mezzo di un dialogo? Che bisogno c’è? In effetti, non c’è nessun bisogno. Si faceva (si continua a fare) per un eccesso di zelo. Perché si pensa di annoiare il lettore proponendo una tavola intera con due personaggi che parlano, immobili, nello stesso ambiente.

Questo piccolo stratagemma a mio avviso nasconde un pregiudizio un po’ avvilente: presuppone che il lettore non regga una scena statica con due personaggi che stanno seduti a parlare per sei vignette. Il che, a sua volta, presuppone che uno sceneggiatore non sia capace di rendere un dialogo interessante per la durata di sei vignette. (Un po’ come se l’autore avesse un pregiudizio nei confronti di se stesso: ammetterete che la cosa è inquietante…)

Mi si dirà che ci possono essere scene di dialogo che durano più di di una tavola, e una vignetta di stacco ci vuole. Non mi convince: se il dialogo è noioso, non sarà una singola vignetta di “voci dalla finestra” a tenere desta l’attenzione del lettore, no?

Essendo il sottoscritto uno sceneggiatore che – come mi rimprovera spesso Antonio Serra – è tragicamente portato a riempire i balloon, posso affermare tranquillamente che un dialogo può essere ravvivato in molti modi: con un uso espressivo della punteggiatura, con le inquadrature, o facendo muovere i personaggi (che mentre parlano possono fumare, bere, gesticolare, giocherellare con una matita, etc.). Sicuramente, un dialogo inerte che si svolge dentro una stanza non si ravviva con uno stacco all’esterno della stanza.

Ci può essere però un ulteriore motivo per uno stacco all’esterno del bel mezzo di una scena. Ed è il motivo per cui può darsi che troviate le “voci dalla finestra” anche in qualcuna delle mie storie: può succedere che ad adottare questa inquadratura sia il disegnatore. O perché si è stancato di disegnare “teste parlanti” (per quanto brillante sia il dialogo), o per un fatto puramente grafico, di composizione della tavola.

Sia come sia, ecco, ora l’ho detto: se trovate “voci dalla finestra” in mezzo a uno dei miei dialoghi sappiate che io non c’entro niente.

12 commenti:

Vernè ha detto...

Ho appena riletto (ieri...) la doppia di Nathan Never "Bersaglio umano" e "Partita mortale" n. 52 e 53. Ebbene, la storia inizia proprio con un "voci dalla finestra", ma come ben spiegato da Michele, essendo le prime due vignette (pag. 5) di una fantastica sceneggiatura, sono proprio l'attacco, l'establishing shot,di inizio di una scena.
Dire poi che i disegni sono di Casini conferma ancora una volta di più che questa accoppiata vincente è riuscita a sfornare dei grandissimi capolavori, confermando che la simbiosi sceneggiatore-disegnatore è un elemento primario per la riuscita di un'opera.

marti giorgio ha detto...

ciao miticomick, volevo contribuire all'argomento "voci dalla finestra" con due piccole osservazioni.
1°- a noi ragazzi, fin dal tempo della scuola piace guardare fuori dalla finestra. anche in questo momento non guardo lo schermo del pc ma la vicina di fronte che stende le mutande.
2° - per chi scrive commedie o genere umoristico in genere è uno strumento utile per fare una battuta (per esempio inquadro uno scarafaggio stercorario mentre le voci parlano di loro stesse)
3° - l'inquadratura può uscire anche per accelerare il ritmo della narrazione e farci vedere l'inizio di una nuova scena senza aspettare che le voci finiscano di parlare (di loro stesse).
secondo me. ma ci penso su ancora un po'.
giorgio

Filippo ha detto...

Caro Michele, sono perfettamente d'accordo con quanto hai scritto. Se posso aggiungere qualcosina, l'inquadratura in oggetto può essere sì utilizzata come intro di una scena, ma si può impiegare anche durante se, per esempio, all'esterno dell'abitazione sta accadendo qualcosa di ignoto ai due personaggi che discorrono all'interno. Invento: dentro ci sono due malviventi mentre fuori la polizia ha circondato la casa e si prepara all'irruzione. In questo caso si aggiunge dinamismo alla scena con un'inquadratura esterna del tutto giustificata. Ovviamente si continuerà in montaggio alternato, mostrando ora i malviventi ora la polizia. Insomma, dipende molto da ciò che si vuole raccontare. Continuo a notare nei tuoi ragionamenti e nelle tue idee in merito alla scrittura per fumetti una concezione cinematografica. Alcuni tuoi colleghi non vogliono sentir neanche parlare di cinema nell'universo dei comics, ma i punti in comune ci sono e sono evidenti, mi sembra. I concetti di movimento interno e movimento esterno all'inquadratura sono peculiari del cinema, utilizzabili anche per il fumetto, certo, ma più a livello teorico che pratico in quanto non è possibile mostrare il movimento, ma solo suggerirlo. Non è possibile mostrare una carrellata o un dolly, saranno sempre e comunque delle istantanee. Voglio semplicemente dire che ravvivare una scena con il movimento (suggerito) dei personaggi è possibile, certo, ma è molto difficile da rendere attraverso il disegno. Più "facile" l'impiego espressivo della punteggiatura e inquadrature diversificate (da te citati), ma può essere una sfida non da poco cimentarsi nella soluzione più complicata, sempre che si abbia voglia di farlo ;-)

Filippo

Michele Medda ha detto...

Ehm... mi pare ovvio che qualcosa di interessante che accade all'esterno giustifichi uno stacco all'esterno!

Per quanto riguarda i riferimenti al cinema, è chiaro che nessuna caratteristica specifica del cinema può essere tradotta pari pari nel fumetto. Nemmeno il montaggio: nel fumetto il montaggio dovrà sempre tenere conto dell'equilibrio grafico della tavola e perfino delle convenzioni della casa editrice. Per esempio, vi sfido a trovare in una canonica tavola bonelliana due primi piani uno sopra l'altro: ad esempio in vignetta 1 e vignetta 3, o in vignetta 2 e vignetta 4, etc.

Per quanto riguarda il movimento dei personaggi, Filippo, molto dipende dal disegnatore!

Tempo fa c'era un acuto intervento di Tito Faraci sul suo blog, in cui si diceva (giustamente) che nei fumetti è difficile vedere qualcuno che si sta sedendo: o si è seduti o si è in piedi. Perché a disegnare qualcuno che si siede si rischia il ridicolo. (Il post lo trovate qui:
http://titofaraci.nova100.ilsole24ore.com/2008/11/tre-cose-da-non.html)

In realtà, se si ha a disposizione un Emiliano Mammucari, si può tranquillamente mostrare un personaggio che si alza o si siede.

Le variabili che determinano ciò che vediamo disegnato su una tavola sono centinaia...

Filippo ha detto...

Grazie per la risposta, Michele :-)
Sono sempre d'accordissimo. Il post di Tito l'avevo letto (eh si, bazzico anche da quelle parti, ahivoi ;-)) e non fa altro che esplicare il concetto delle istantanee, del SUGGERIRE il movimento; ha perfettamente ragione. Per quanto riguarda l'ormai "famosa inquadratura", ho proposto quel pessimo esempio perché avevi scritto "Per me una inquadratura del genere - esterno e voci dalla finestra - è ammissibile solo come attacco; cioè quando si comincia una scena". Deve avermi tratto in inganno quel SOLO e ho interpretato male. Ti chiedo umilmente scusa. Mi sembra che concordiamo tutti sul fatto che un inquadratura raffigurante esterno, voci dalla finestra e polizia che circonda l'abitazione ci sta anche nel bel mezzo di una scena ;-)

Filippo

RadioPunx ha detto...

Un odio del genere verso questa soluzione lo prova anche Tito Faraci, se ben ricordo il passaggio di un suo libro.

Come si riesce a capire se un dialogo funziona come dovrebbe? Come si coniuga il bisogno di chiarezza con le necessità della narrazione?
è un buon metodo quello di leggere i dialoghi ad alta voce, come se li si stesse recitando?

Michele Medda ha detto...

Radiopunx, fai domande che richiederebbero un trattato per rispondere... comunque il dialogo dei fumetti è scritto per essere *letto*, ed è ancora più "artificiale" di quello di un romanzo, essendo sempre compresso in uno spazio limitato. Quindi leggerlo ad alta voce potrebbe addirittura essere controproducente.

Per quella che è la mia personale esperienza, "avere orecchio" per i dialoghi è come avere orecchio in campo musicale. O ce l'hai o non ce l'hai, non ci sono vie di mezzo. Ovviamente, il fatto di non avere questa dote non impedisce di scrivere bene e, nei limiti, di migliorarsi.

Se non si è portati per un dialogo brillante, il mio consiglio è di non forzarsi e di non cercare la battuta a tutti costi, ma di "asciugare" il più possibile, rimanendo sul semplice.

E, soprattutto, mai dimenticarsi che il fumetto è un medium essenzialmente visivo, e che bisogna cercare di raccontare prima di tutto attraverso il disegno.

Quando si portano a esempio sceneggiatori come Neil Gaiman per la qualità della loro prosa (per le didascalie "poetiche") in un certo senso si sminuisce il loro vero talento e soprattutto la loro grande disciplina.

Non è solo una questione di "bello scrivere": è prima di tutto una capacità straordinaria di "indirizzamento" del disegnatore, cioè una efficacissima visualizzazione di ogni singola scena. E' "disciplina" perché qui non c'entra l'"orecchio": c'è una tecnica che si apprende - se si ha la voglia e la pazienza di apprenderla - scrivendo e riscrivendo, vignetta dopo vignetta. E' pratica quotidiana. E' *lavoro* nel vero senso della parola.

Anonimo ha detto...

Da ignorante, e fan del fumetto Bonelli, ammetto che la soluzione che critichi non mi dispiace. Anche se, dopo aver letto le tue spiegazioni, capisco perfettamente i motivi per cui non è di tuo gradimento. In genere, quando leggo un Bonelli, per me la cosa più importante è quanto sia interessante quel dialogo. Se qualcuno spiega a Tex e Carson il motivo per cui sono stati convocati, e la spiegazione è interessante, mi sta bene anche una veduta esterna.
In ogni caso complimenti per gli argomenti "tecnici" trattati sul blog. Quando leggo un fumetto non ho mai fatto caso a certi dettagli.

Antonio

Tito Faraci ha detto...

È vero. Sono citato a proposito. Detesto quella soluzione insensata.
La uso solo in apertura, giusto per fare capire dove siamo, e in rari casi...
Per esempio, se un personaggio dicesse "In questa città non si può più vivere", potrebbe starci bene la voce fuori campo su una panoramica della città stessa, in tutto il suo degrado.
Se un personaggio dicesse "Ora ti racconto..." per poi dovere raccontare qualcosa che il lettore già sa, passerei subito in esterno con la voce fc che chiude: "... ecco, questo è tutto". Per suggerire il passaggio di tempo.
Qualche altro caso c'è. Ma, ripeto, casi rari.
Bravo, Michele. È una battaglia da combattere. Piccola, ma importante.

RadioPunx ha detto...

Sapevo di aver fatto una domanda che necessitava di tempo e parole per avere risposta e per questo ti (mi prendo la libertà di dare del tu) ringrazio.

Questo blog è sempre più interessante, vista la mole di informazioni -anche tecniche- che si possono ricavare.

Concludo con un "in bocca al lupo" da due Chine Vaganti che attendono l'ormai imminente uscita in edicola di Caravan!

Anonimo ha detto...

Domanda da profano: e se invece delle voci dalla finestra ci sono inquadrature relative alla stanza? Ad esempio: l'ispettore X va con il suo assistente Y a casa dell'indiziato Z per interrogarlo. Anziché tenere ferma l'inquadratura su X, Y e Z, la "camera" si ferma su alcuni dettagli della stanza che possano aiutare a inquadrare meglio Z: i libri nella biblioteca, una cornice con un ritratto, l'ordine maniacale (o al contrario il disordine generalizzato), un gatto che sonnecchia su una poltrona... Magari il tutto costruito come se fosse visto da uno dei personaggi (es. l'assistente dell'ispettore), che commenta con lo sguardo o i gesti senza parlare.

Altra possibilità: l'ispettore va dal suo superiore, il soprintendente S, per riferire il fatto che si sono lasciati sfuggire colui che dovevano arrestare. Anziché tenere fissa l'inquadratura sul capo che urla, non può essere interessante far sentire che le urla si sentono anche da fuori (e che destano i poliziotti alla scrivania dal loro torpore)?

Michele Medda ha detto...

Ellesse, nel primo caso sì, si può staccare su uno o più dettagli, ma solo se hanno un certo valore per la narrazione (per esempio rivelano un legame con la vittima - che so, la classica foto che li ritrae nella squadra di football, oppure gettano un sospetto sull'interrogato - che so, una rastrelliera con dei fucili. Ah-ah, quindi sa sparare...)Il gatto che sonnecchia non mi sembra pertinente.

Nel secondo caso è uno stacco con effetto comico, e anche qui dipende dal contesto. In una storia thriller tipo "Il silenzio degli innocenti" sarebbe fuori luogo.

Insomma: puoi fare qualsiasi cosa, purché abbia una funzione all'interno della storia. Dipende da come la singola trovata si inserisce nel contesto. Certamente uno stacco all'esterno nel bel mezzo di un dialogo, come dicevo nel post, non ha nessuna funzione narrativa.