sabato 19 settembre 2009

PARLIAMO DI DISEGNO

Nove volte su dieci, se leggete su internet una recensione o un parere su un fumetto, lo spazio dedicato all’analisi del testo sarà tre volte superiore a quello dedicato al disegno, in genere liquidato sbrigativamente in poche righe. Perché accada questo, non lo so. Sospetto che sia per il fatto che si ritiene (giustamente) che per giudicare un disegno bisogna “capirne” di disegno. Mentre per giudicare un testo… beh, è sufficiente avere letto i capitoli in prosa di Watchmen, e questo basta per accreditare chiunque come Esperto di Letteratura tout–court.

Dal momento che io ho saltato a pie’ pari i capitoli in prosa di Watchmen, non ho nessun titolo per parlarvi di sceneggiatura, e vorrei parlarvi un po’ del disegno dei fumetti.

Antonio Serra dice che il tipico lettore di fumetti giudica un disegno “bello” quando può contare i peli dentro le narici dei personaggi. Un’esagerazione? Mica tanto. Il lettore medio giudica il disegno in base alla quantità di china sul foglio. Se ce n’è tanta vuol dire che il disegnatore si è applicato, quindi il suo sforzo è da lodare. Il disegno è bello.

Ma un giudizio critico serio sul disegno di un fumetto non può basarsi sulla quantità di china profusa nelle vignette. Il primo criterio valutativo dev’essere l’efficacia del racconto.

Il critico (o il lettore che pretende di esprimere un giudizio critico) dovrebbe chiedersi prima di tutto se il disegno racconta. E cioè porsi una serie di domande specifiche:

l’inquadratura è quella giusta per rendere la sensazione evocata dal testo?

I personaggi hanno un’espressività? Possiamo dire che “recitano”? Cioè: lo sguardo, il gesto, la postura veicolano un sentimento “raccontando” quella situazione, oppure ripropongono meccanicamente le figurine presenti nei manuali di disegno?

C’è una cura anche nell’abbigliamento dei personaggi? L’abbigliamento è verosimile? Contribuisce alla loro caratterizzazione?

Gli ambienti sono ricostruiti con sufficiente verosimiglianza – resa anche da pochi dettagli essenziali – o sono sfondi anonimi buoni per tutte le occasioni?

Verificata per prima cosa la complementarità del disegno col testo – cioè l’apporto del disegno nel contesto della narrazione – allora si potrà procedere a “scorporare” il disegno e a esaminarlo a sé.

Si potrà esaminare quindi la “grammatica” del disegno (c’è proporzione nelle anatomie? La prospettiva è corretta? Etc.). Eventualmente i più esperti potranno anche separare il giudizio sulle matite da quello sull’inchiostrazione. Quasi sempre le matite risultano più dinamiche, più “fresche” rispetto all’inchiostrazione. Ma può anche succedere che un disegnatore non proprio eccellente con le anatomie valorizzi il suo disegno con una inchiostratura vigorosa ed espressiva.

In seguito si potrà esaminare il segno. Qual è la caratteristica di questo disegnatore? Cosa lo rende personale (se c’è qualcosa che lo rende personale) rispetto ai suoi colleghi? Quali sono i suoi punti di forza? Il dinamismo dei personaggi? La ricostruzione degli ambienti?

Infine – per chi volesse davvero dedicarsi alla Critica, quella seria – non va dimenticato il contesto produttivo di un albo a fumetti. Perché dovrebbe essere evidente che non si può usare lo stesso metro di giudizio per una graphic novel e per un fumetto popolare sfornato con la velocità di una pizza al sabato sera. Al lettore giustamente importerà poco se il disegnatore ha dovuto lavorare in fretta perché era pagato una miseria. Ma il critico non può ignorarlo.

Il primo passo per far sì che il mondo esterno abbia rispetto per il medium fumetto è rispettarlo dall’interno. Così ci solleveremmo dal livello della chiacchiera da bar sport, e nello stesso tempo scenderemmo dalle nuvole degli sproloqui sull’Arte libera dal Mercato. Per ragionare finalmente con la testa sulle spalle e con i piedi per terra.

18 commenti:

Luigi Spagnolo ha detto...

Pur se con le dovute differenze di stile tra i vari disegnatori, negli Caravan ho notato una forte uniformità grafica nella caratterizzazione dei personaggi (fatta eccezione, forse, per il sindaco Banks che in copertina appare più giovane di quanto non lo sia nell'albo).

Nel caso di una miniserie (cosa diversa da serie "consolidate") come si riesce a "coordinare" il lavoro di più disegnatori? C'è un disegnatore principale che - di concerto con lo sceneggiatore - "detta la linea"? Oppure c'è una sorta di "negoziazione" tra i disegnatori (cosa che però immagino difficile da organizzare)?

E poi, in ogni caso, come siete arrivati a caratterizzare graficamente i personaggi di Caravan in modo da renderli così distintamente riconoscibili?
Pura "immaginazione"? Ispirandovi a persone realmente esistenti (es. attori o parenti, amici e conoscenti)?
Il colonnello Warren ricorda un po' Samuel L. Jackson, o sbaglio?

Luca Erbetta ha detto...

Carissimo Michele,
è tutto giustissimo quello che dici. approvo al 100%
Ma non scordiamoci una cosa: se un fumetto scritto ottimamente è fatto da una trama solida, un ritmo perfetto e dei dialoghi brillanti, lo stesso vale per i disegni.
La narrazione, la recitazione e l'accuratezza dei particolari sono importantissimi, ma anche la bellezza del tratto ha il suo peso.
L'inchiostrazione è una tappa FONDAMENTALE nella creazione. Grandi inchiostratori, come Tom Palmer, Mick Gray, Kevin Nowlan, Klaus Johnson impreziosicono il lavoro dei disegnatori. Gli danno forza, grazia, intensità.
è un vero peccato vedere alcuni giovani talenti italiani buttare via il proprio fantastico lavoro con un'inchiostrazione scialba e banale.

Non sono d'accordo, invece, sul tuo punto di vista riguardo a certi prodotti che hanno il problema di essere fatti velocemente. Questa non può essere additata come scusante sulla qualità del prodotto.
Quando vado in un ristorante, non mi importa se ci siano 2 o 200 clienti all'interno, mi importa di mangiare bene. Se il cuoco non riesce a cucinare bene perché à troppi piatti da preparare non è colpa mia. Io voglio mangiare bene.
A mio parere, un disegno è bruto o bello indipendentemente dal tempo che è servito per realizzalo.

Michele Medda ha detto...

Salve, Luca,
lieto di trovarti da queste parti!

Sui lavori veloci, rimango convinto che si deve scindere il giudizio del lettore da quello del critico.

Altrimenti si commette lo stesso errore di chi parlava sprezzantemente dei cartoni giapponesi dicendo che "Disney è tutt'altra cosa". E' indubbio che "La carica dei 101" è "più bello" di un episodio di Lamù. Se non che, non si possono paragonare opere che sembrano uguali (quelli sono cartoni animati, questi altri pure), ma nascono in contesti produttivi *diversi*: uno cinematografico non seriale e l'altro televisivo seriale (leggi: con budget minore e tempi di produzione ristretti).

Allo stesso modo i seriali Bonelli e i seriali Star ed Eura *sembrano* uguali (94 pagine, b/n, mensili). Ma non nascondiamoci dietro a un dito: sappiamo che i contesti produttivi sono diversi, non solo per il trattamento economico, ma per la presenza in Bonelli di un apparato redazionale che consente agli autori di lavorare al meglio (o comunque con tranquillità) sulle storie.

Questo non toglie, naturalmente, che possiamo trovare disegni eccellenti sulle serie Star ed Eura e disegni tutt'altro che eccellenti su un albo Bonelli. Ma in linea di massima la situazione è quella che ho spiegato sopra. Che non è ovviamente una "scusante", ma un parametro di cui il giudizio critico deve tenere conto.

Michele Medda ha detto...

Rispondo a Luigi: Luigi, per i personaggi principali sono stati elaborati i cosiddetti model sheets, cioè disegni preparatori, da parte di Elena Pianta (ne avevo parlato in un post precedente, cercalo sotto la tag "Caravan").

Per altri personaggi, beh, dipende. La famiglia Bresler, che compare nel numero 1 mentre assiste alla partita in cui gioca il biondo Lance, è stata disegnata per la prima volta da De Angelis; ma poi è stato Fabio Valdambrini a sviluppare i personaggi del capofamiglia Jake e del perfido Kurt (che vedrete nel prossimo numero).

Il colonnello Warren non è ispirato a Samuel L. Jackson, ma a un altro attore. Scelta che ho rimpianto, perché, anche se indico un attore solo come riferimento, alla fine il disegno finisce fatalmente per riprodurre le fattezze dell'attore in questione. Preferisco quindi non dichiarare le fonti, perché non mi va che il lettore associ il personaggio a un volto noto.

Anticipo l'obiezione: "ma non è più semplice inventare i volti dei personaggi?". La risposta è no.
Non se si devono caratterizzare *decine* di personaggi. L'elaborazione di un volto (che deve essere riproducibile da tutti coloro che lo disegnano) richiede un lungo lavoro di studio, che porta via molto, troppo tempo.

Il riferimento al volto di un attore è una scorciatoia che non mi piace, ma che purtroppo, spesso, ci tira fuori dagli impicci.

Luigi Spagnolo ha detto...

Ho visto solo ora i model sheets. Davvero affascinanti. L'obiettivo di creare persone comuni, vere a partire dal loro aspetto è stato centrato alla perfezione. Tant'è che sembra quali impossibile che siano "inventate" di sana pianta.

Quanto al disegno, all'accuratezza maniacale e un po' "legnosa" dei dettagli, personalmente preferisco la capacità di "sintesi" e di dare una mimica ai personaggi.

RaSca ha detto...

Riguardo alle parti in prosa di Wathcmen caro Michele posso dirti che la prima volta che lessi la graphic novel le saltai pure io. Poco tempo fa l'ho riletta in toto e devo dire che completano decisamente il racconto, anche se rimango del parere che Alan Moore soffra di logorrea :-)
Mi associo totalmente a Luigi quando parla della qualità. Ritengo anche io che sia qualcosa di imprescindibile se il fine ultimo è quello di intrattenere.
Quando vedo ad esempio in Nathan Never delle macchine "normali", orologi da polso o cellulare m'infervoro e penso "Ma l'hanno capito o no che stiamo parlando di futuro?". Penso che un lavoro di ricerca dovrebbe portare un disegnatore a guardare gli studi di concept car delle case automobilistiche, a trattare interfacce virtuali per i telefoni (ad esempio tastiere proiettate) anziché far parlare tutti con il telefono all'orecchio.
Questo non accade sempre, beninteso, ma spesso in storie che poi (a mio modestissimo parere) non sono nulla di speciale.
Certo, come dici tu tutto dipende dal tempo, ma senza essere critici per forza, essere soddisfatti dei propri acquisti è un diritto.

Marco - Sonostorie ha detto...

Caro Michele,
condivido molte che cose che dici in questo post e, altrettante cose interessanti si trovano nei commenti. Personalmente, anch'io ho fatto qualche considerazione, ma siccome mi era venuto fuori un commento chilometrico (...) ho preferito postarlo sul mio blog.

http://sonostorie.wordpress.com/2009/09/19/il-fascino-discreto-del-disegno-bonelliano/

Mi farebbe piacere conoscere la tua opinione e quella degli altri amici di Caravan.
Marco

Luigi Spagnolo ha detto...

Quando vedo ad esempio in Nathan Never delle macchine "normali", orologi da polso o cellulare m'infervoro e penso "Ma l'hanno capito o no che stiamo parlando di futuro?".

Uhm, su questo non sono pienamente d'accordo. Potrebbe essere una scelta stilistica/narrativa mantenere una certa familiarità con il mondo attuale.
Le interfacce digitali, poi, sono davvero difficili da rendere al cinema (fatta eccezione per minority report che comunque ha qualche incongruenza), figuriamoci in un fumetto.
Da ingegnere informatico mi infervoro anch'io nel vedere ad esempio schermate di computer che assomigliano troppo a videogames. Mi rendo conto, però, che le interfacce usate nella realtà, ad esempio per un database della polizia, sarebbero troppo anonime e scarsamente leggibili.

La cosa che invece mi indispone - proprio perché apprezzo il disegnatore - è vedere il Winchester in mano a Tex in una storia ambientata ai tempi della guerra di secessione :)

Michele Medda ha detto...

RaSca, i disegnatori sono tanti. C'è chi si prende un po' di tempo per pensare a quello che fa, c'è chi procede dritto sparato come un missile perché non ha /tempo/voglia/capacità. E soprattutto perché alla fine - come ben sottolinea Marco nel suo blog - dare "di più" conta relativamente poco.

Non sei pagato di più se inventi un design futuribile anziché disegnare una Opel Astra appena taroccata. E l'albo non venderà più copie.
Nella produzione seriale, se vai di corsa e produci di più, allora sì, guadagni di più. D'altronde, il giovane Alan Moore diceva: "Ho vinto un sacco di premi, ma quando sono alla cassa del supermarket non posso pagare con quelli".

La qualità del lavoro di ognuno di noi è un equilibrio precario - come diceva qualcuno, eri tu? - fra quello che sei e quello che vorresti essere. Fra la pagnotta e l'Arte, per dirla brutalmente.

D'altronde, è giusto sottolineare una cosa: sono i "velocisti" che permettono ai nostri albi di uscire mensilmente, e permettono ad autori più lenti - come me, per esempio - di tenere la propria andatura, senza forzare il passo.

Tani ha detto...

Caro Medda nel tuo post mi pare che confondi il ruolo dello sceneggiatore con quello del disegnatore. Se lo sceneggiatore è accurato, l'inquadratura, i piani immagine, persino i dettagli delle vignette dovrebbero essere presenti e definiti nella sceneggiatura e non lasciate alla mercé del disegnatore.
Come potrebbe il critico capire se ha mancato il disegnatore o se l'approssimazione è da riferire allo sceneggiatore?
Ma queste cose tu le conosci benissimo!
Mi viene allora un dubbio cattivo non è che il tuo post piuttosto che essere rivolto ai "critici da internet" sia una excusatio non petita rivolta a rigettare sul disegnatore quelle che invece altro non sono che imperfezioni nella sceneggiatura?
Sarebbe in ogni caso interessante capire quali sono gli articoli cui ti riferisci.
Sottoscrivo invece quanto dici in merito alla "grammatica" del segno.
Con riferimento al distinguo che tieni a precisare tra fumetto popolare e fumetto d'autore colgo, ancora, e mi scuserai, la preoccupazione dell'autore nell'essere giudicato, laddove compito del critico maturo non è tanto quello di giudicare con un voto da 1 a 10, quanto quello di far comprendere e spiegare agli altri quel che di buono e di sbagliato c'è in un'opera.
Con stima

Michele Medda ha detto...

Tani. Per favore. Non facciamo finta di non capire e di non sapere.

Parliamo di professionisti che fanno questo lavoro da tanti anni. Gli sceneggiatori sanno cosa bisogna dire e cosa si può fare a meno di dire al disegnatore. Il disegnatore sa - *deve* sapere - che se Bill dice: "Sto soffrendo" Bill va disegnato con espressione sofferente. Non può accampare la scusa che "però in sceneggiatura non c'era scritto".

Così come se in sceneggiatura c'è scritto "Bill entra in salotto" è ovvio che l'inquadratura sarà non troppo ravvicinata, in modo che si veda che la stanza è un salotto, anche se lo sceneggiatore non ha scritto "campo medio del salotto dall'interno".

Le "approssimazioni" dello sceneggiatore sono altrettanto visibili di quelle del disegnatore. Possono essere, per esempio, cadute di ritmo (troppe vignette per una scena risolvibile in due battute), o dialoghi legnosi. E, ovviamente, ci possono essere pecche nel soggetto.

Quindi, non prendiamoci in giro. Un critico queste cose deve saperle e saperle vedere. Se no, vada a coltivare patate insieme a sceneggiatori e disegnatori incapaci. Non l'ha mica ordinato il dottore di recensire fumetti.

I giudizi, infine. Anche qui, non fingiamo di non capire. Un critico deve far capire "cosa c'è di buono e di sbagliato" in un'opera. Si capisce. E lo fa attraverso un giudizio. Cos'altro?

RaSca ha detto...

Sì Michele ero io quello dell'essere e del voler essere, e capisco il tuo punto di vista.
Però spero tu possa capire il mio: per "voi" sceneggiatori e disegnatori è un lavoro, ma per "noi" fruitori rimane uno svago che più fedele è a quello che ci aspettiamo, più soddisfazione ci da.
Il futuro è futuro, ed il passato è passoto (anche per rispondere a Luigi, il winchester che citi è il cellulare che cito io), l'ambientazione in una storia riuscita ha un'enorme valore.
Riguardo poi alla serialità, è inutile sottolineare come per un buon prodotto aspetterei volentieri un mese in più, ma, al solito, sono perfettamente conscio di come questa cosa sia antieconomica lato casa editrice.
Nell'era Quasada alla Marvel l'hanno capito, poi lascia stare che il concetto è stato estremizzato con gli Ultimates di Millar e Hitch i cui 12 numeri sono usciti in due anni. Ne è valsa la pena? Non lo so, l'opera è un capolavoro, ma meno male che c'erano i riassunti :-)

Filippo ha detto...

Mi permetto di dire la mia anche se non ho mai letto Watchmen ;-)

Concordo sul fatto che la buona riuscita di una storia dipenda dal lavoro di gruppo, ma sono convinto che se la sceneggiatura non funziona non c'è niente da fare; forse la si può migliorare di poco grazie a un'abile disegnatore, ma non oltre la soglia della sufficienza. Viceversa, se la sceneggiatura funziona e il disegnatore è mediocre il tutto risulterà per lo meno sufficiente. Forse è per questo che la critica si concentra maggiormente sul testo piuttosto che sul disegno (?).


Concordo su tutti gli aspetti che si dovrebbero analizzare in relazione al disegno, ma per analizzarli il critico dovrebbe leggere più e più volte una storia. La cosa non mi sembra molto onesta, sembra un andare alla ricerca degli errori e delle imperfezioni.Penso che sia più corretto e rispettoso leggere con l'intento di gustarsi il racconto, criticando successivamente quelle imprecisioni o quegli errori che sono saltati fuori nel corso della lettura. Inoltre bisogna tenere conto dello spazio che ha a disposizione il critico, il più delle volte non sufficiente a un'analisi approfondita del prodotto. Mi sorge un dubbio: analisi e critica sono la stessa cosa?

Luca Erbetta ha detto...

Il bello di lavorare per il mercato francese, è che lì, la qualità, paga.
Il lettore lo vede, se, come disegnatore, ti sei fatto un mazzo così, oppure se hai tirato via. E apprezza e compra. Ed è per questo che gli editori e i supervisori ti fanno le pulci su ogni vignetta.
Ormai hanno capito che solo l'altissima qualità è un modo sicuri di non fare un flop di mercato. E forse è questo che ha fregato alcuni autori italiani che hanno tentato l'avventura oltralpe...

Michele Medda ha detto...

Sì, Luca, la Francia è un altro pianeta. Ma mi spiace che là si perda la serialità, non nel senso della continuity, ma nel senso dell'appuntamento mensile in edicola col proprio personaggio preferito. E' proprio un altro modo di scrivere, di disegnare, di pubblicare, di leggere.

and ha detto...

Quella della qualità del disegno è un argomento molto serio e la stessa cosa la si ritrova nei romanzi, dove ormai la questione "stile" è passata veramente in secondo piano. Più importanti sono la trama e il contenuto, lo stile sembra un qualcosa in più ma non lo è. Restando nell'ambito del disegno, in questi anni ho riscontrato per esempio delle grandi cadute, tra l'altro spiegate, quando mi sono comprato tutta la ristampa cronologica di Ken Parker, dove c'erano delle cadute stilistiche veramente gravi quando i disegni passavano nelle mani di disegnatori troppo diversi dallo stile parkeriano. E ultimamente mi è capitato anche in Nathan Never, anche l'ultimo non mi è piaciuto (poi certo c'è anche questione di gusti), da un po' di tempo a questa parte ho come l'impressione che la serie abbia dei buchi stilistisci con storie non sempre all'altezza. Stessa cosa in Magico Vento. Forse la lunghissima serialità produce questi problemi ma alla lunga può diventare anche un fastidio per chi legge le serie. Nathan Never avrà delle svolte in meglio?

Michele Medda ha detto...

And, non posso che ribadire quanto già detto. L'alternanza degli stili (nel bene e nel male) è il tributo che paghiamo alla mensilità. Detto fuori dai denti: vuoi l'albo tutti i mesi? Ebbene, sappi che non potrai avere dodici disegnatori al top e storie sempre eccellenti.

A dire il vero, non ricordo clamorose "cadute" su Ken Parker, fermo restando che a volte la differenza tra uno stile realistico "pieno" come quello di Ambrosini e uno "grafico" come quello di Alessandrini poteva suscitare perplessità.

C'è poi un problema ancora diverso, che riguarda la "tenuta" di sceneggiatori e disegnatori sulla lunga distanza. A un certo punto subentra fisiologicamente la stanchezza o, molto più semplicemente, il peso degli anni.

Dal momento che non si sopprimono gli autori come se fossero cavalli, l'unica scelta che ha il lettore è selezionare, cioè scegliere l'albo in base agli autori che lo hanno realizzato. Non mi sentirei di rimproverare nessun lettore per questo.

Quanto a Nathan Never, ho qui sotto mano le tavole della prossima storia di Olivares, e sono semplicemente stupende. Spero che ti convincano a dare a Nathan un'altra chance.

and ha detto...

grazie..per nathan, pur con tutte le magagne, non riesco a mollarlo e non lo mollerò mai. ormai è come mio fratello.