martedì 29 settembre 2009

NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE

Ci sono lettori di fumetti che del fumetto sanno tutto. E quindi conoscono il vero motivo della crisi: “la mancanza di coraggio nel proporre qualcosa di nuovo” (da parte del fumetto popolare, ovviamente. Per quanto riguarda le graphic novel, un autore di graphic novel è esentato dal confronto col passato, noblesse oblige).

Questa dichiarazione è molto tranquillizzante, perché addita alla pubblica opinione un delitto e i suoi colpevoli. Un po’ come dire che è colpa dei comunisti. O dei clandestini che ci tolgono il lavoro.

Peccato che “qualcosa di nuovo” non sia sinonimo di “qualcosa di successo”. Ed è difficile pensare che arrivi una novità di dimensioni tali da risolvere la brutta situazione del fumetto italiano. Anzi, non è neppure scontato che una novità ripaghi lo sforzo fatto per elaborarla.

Un esempio veloce: il fiorire delle riviste a fumetti tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta. Costituivano indubbiamente una novità rispetto al passato e presentavano opere interessanti. Ma il boom delle riviste è durato poco. E gli autori lanciati dalle riviste e tuttora in attività si contano, mi pare, sulle dita di una mano.

Ma l’esempio più clamoroso è forse quello di Ken Parker. Al suo apparire nelle edicole (1977) Ken Parker presenta novità notevoli. Nel contenuto: estremo realismo delle situazioni, attenzione ai risvolti sociali ed economici della Storia, aggancio a tematiche contemporanee. Nella forma: contaminazioni col linguaggio cinematografico, “ripulitura” dei dialoghi da artificiosità tipiche del fumetto, allargamento (o sfondamento) della griglia delle vignette, funamboliche variazioni di registro narrativo dal dramma all’umorismo.

Con tutto ciò, Ken Parker non ha un grande successo di pubblico, e dura appena cinque anni.

Il successo arriderà a Dylan Dog (1986), uno dei pochi personaggi italiani destinato a sfondare le barriere del medium fumetto e a diventare fenomeno di costume.

Della novità di Dylan Dog rispetto ai suoi predecessori (quello immediato è Martin Mystère, del 1982) si è parlato abbondantemente. Ma non si è parlato altrettanto della sua continuità col passato.

Dylan Dog infatti ripropone una tipologia di personaggio tradizionale. Quello di Dylan e Groucho è, a ben guardare, l’abbinamento eroe–spalla di Martin Mystère e Java, che a loro volta riproponeva quello di Zagor e Cico. Che riproponeva quello di Tex e Kit Carson.

Quanto alla scrittura, quella di Sclavi è molto simile a quella del suo mentore Alfredo Castelli: dialoghi brillanti, scanditi in maniera impeccabile. Ma non è visibile uno scarto macroscopico tra i due stili, come invece avveniva per i dialoghi “realistici” di Berardi che si contrapponevano a quelli tradizionali di Tex, o perfino a quelli più “moderni” della Storia del West di D’Antonio.

Sclavi, tra l’altro, continua a usare i balloon di pensiero (usati da Berardi col proverbiale contagocce e poi progressivamente abbandonati). E fornisce a Dylan la sua esclamazione caratteristica: “Giuda ballerino!”, perfettamente in linea col “Peste!” di Tex e con i “Diavoli dell’inferno!” di Martin Mystère.

Infine, il lavoro di Sclavi sulla griglia bonelliana è molto meno dirompente di quello di Berardi e Milazzo su Ken Parker. Vero è che in Dylan Dog compare qualche sequenza di taglio cinematografico: ma Sclavi appare molto meno interessato a lavorare sulla griglia rispetto agli autori di Ken Parker, e perfino rispetto a Gino D’Antonio sulla Storia del West.

Tiziano Sclavi era un fan di Tin Tin, e non di Watchmen (che all’epoca non aveva nemmeno letto). Pochi lo sanno, ma a Sclavi si deve addirittura, alla fine degli anni ottanta, l’elaborazione di un “pentalogo” redazionale: cinque regole per fissare uno schema di impaginazione che stabiliva il numero (minimo e massimo) e la disposizione delle vignette sulle tavola. Schema che si sarebbe dovuto applicare a tutte le testate, da Tex a Dylan Dog, per renderle graficamente omogenee. Con l’avvento di Nathan Never l’idea di imporre il “pentalogo” fu abbandonata. (Con nostro grande sollievo, mi permetto di aggiungere).

Con ciò non voglio dire che Dylan Dog non era “nuovo” (gli elementi di novità c’erano eccome), ma che non era quella novità assoluta, la Creazione dal Nulla, il Big Bang che molti pensano. E voglio dire che la novità ben più dirompente (più “cercata”, mi viene da dire) di Ken Parker non ha avuto lo stesso strepitoso successo.

La realtà è che proporre delle novità è spesso, se non proprio facile, almeno non troppo difficile. Ben altra cosa è proporre novità che abbiano grande successo, e che influenzino la produzione successiva apportando cambiamenti significativi.

Ma il grande successo - è banale dirlo, ma diciamolo - non è mai programmabile a tavolino; né per la novità assoluta né per l’opera tradizionale che sfrutta formule già consolidate.

Il Dark Tex sognato da molti non sortirebbe affatto la rivoluzione operata su Batman da Frank Miller con Dark Knight. Servirebbe solo ad allontanare da Tex gran parte dei suoi lettori tradizionali e tradizionalisti. O, nel migliore dei casi, costituirebbe un caso eccezionale, un unicum che mai e poi mai potrebbe modificare l’essenza della serie mensile.

Per quanto mi riguarda, continuo a sostenere che non ha senso cercare paralleli tra le produzioni fumettistiche delle varie nazioni, nemmeno quelle occidentali (il Giappone non è nemmeno un altro pianeta. E' un'altra galassia). Le differenze sorpassano di gran lunga le somiglianze: nei contenuti, negli stili, nelle modalità di produzione, nel contesto culturale e sociale.

La crisi del fumetto italiano ha diverse cause, non una generica “mancanza di qualcosa di nuovo”. E uscire dal tunnel – ammesso che sia possibile – richiede molte manovre, da effettuarsi con le marce basse e con la dovuta calma.

Difficile confidare in un miracolo. E poi, oggi i miracoli li fanno solo i presidenti del consiglio, no?

35 commenti:

MarcoS. ha detto...

La ricerca del nuovo non l'ho mai capita...nel senso perchè dovrebbe essere delegata ad un autore e poi cosa sarebbe il nuovo?
Nuove tematiche? Anche a me piacerebbe vedere na serie che sò sportiva...sarebbe possibile non lo so ma non vorrei mai che una serie sportiva arrivasse da bonelli che ha una tradizione ...mi sarebbe più accettabile da Panini. Fatto questo appunto quello che mi chiedo e lo chiedo direttamente a lei signor Medda, non crede che la direzione presa dalla bonelli si stia allontanando da un bacino di utenza più giovane? Lei ha lavorato su X campus...un prodotto che oggi diciamo si muove nello stesso ambito qual'è?
Mi parla di un confronto Perker Dog giusto...perchè il primo non ce l'ha fatta e il secondo sì. Dovrà ammettere che il secondo poteva e riusciva a rivolgersi ad un utente nuovo e più giovane rispetto a quello a cui si rivolgevano all'epoca Tex e gli altri... sia per tema/genere che per caratteristiche proprie del personaggio. Non so come considera le mie idee, ma io ho sempre sentito come maggior problema del fumetto italiano la perdita di una continuità...Faccio il mio esempio Dylan mi ha accolto quando avevo 10 anni nelle mie letture(non era ancora l'era dei manga)eppure ero passato da topolino a Dylan dog e niente in mezzo. E questo è un problema che tutt'ora permane.

Marco - sono storie ha detto...

Michele,
sono d'accordo sul discorso generale. Ma visto che citi Tex (una serei che amo molto), trovo che la questione sia diversa. Fermo restando che "Dark Tex" è una assurdità, ciò non toglie che Willer & co sono stati rinchiusi dentro la riserva Navajo, senza permettergli di evolversi per troppo tempo. A lungo, si è pensato che bastasse parlare di "bistecche alte due dita" e malmenare il "testa di vitello" di turno, per fare contento il lettore.
Solo negli ultimi anni è iniziato un restyling coraggioso e credibile (penso alle storie tue, a quelle di Boselli e a quelle di Faraci). Un restyling necessario, non per far contenti i "bisognosi di nuovo", ma per dare un futuro al fumetto, che altrimenti finirà con l'invecchiare insieme ai suoi lettori attuali (è quello che sta accadendo).
Questa è la vera sfida che Tex e gli altri fumetti Bonelli hanno di fronte oggi. E non credo che sia un'eresia guardare anche a quello che si fa negli Stati Uniti, dove i personaggi di lungo corso vengono "riscritti" periodicamente.

Michele Medda ha detto...

Rispondo prima al Marco "Sono storie".
Marco, che i personaggi vadano aggiornati è giustissimo. Ma il paragone con gli USA rimane improponibile. I personaggi lì vengono "riscritti" perché periodicamente sono "riscritti" gli staff.

Cambiano tutti, a partire dagli amministratori delegati fino all'ultima segretaria dell'ultimo vice-sostituto editor. E ovviamente, cambiano gli autori, spesso giovanissimi. Frank Miller era poco più che ventenne quando prese in mano Devil. Idem per Garth Ennis quando arrivò su Hellblazer.

Io e Serra eravamo di poco più grandi quando abbiamo cominciato a scrivere Nathan Never. E tra due settimane saranno vent'anni che lo scriviamo. C'è altro da aggiungere?

MarcoS, ora rispondo anche a te. Qualsiasi discorso generale su cosa si potrebbe fare per "salvare il fumetto", come per esempio scrivere per i giovanissimi, è solo fumo.

La produzione per l'infanzia è stata falcidiata negli anni ottanta da un'editoria miope e nello stesso tempo dalla spocchia del fumetto che si voleva "d'autore" e quindi "adulto".

L'unica cosa rimasta immutata per il fumetto è la passione dei lettori, e in qualche (raro) caso quella degli autori. Ma al di fuori di Sergio Bonelli non ci sono editori veri, che vogliano/possano ampliare la loro produzione.

Non c'è possibilità di fare programmi a lunga scadenza (visto che fine fanno le miniserie della Star?), non c'è possibilità di coltivare quelle professionalità che devono lavorare in parallelo con gli autori: redattori, supervisori, coloristi.

Quando mi si cita come esempio la Francia o il fumetto americano, io invece temo che l'esempio che stiamo seguendo sia quello della Spagna. In cui, come si sa, il fumetto è estinto.

PS: il Tex edito da Repubblica è uno straordinario successo, il vero fenomeno di questi ultimi anni. Alla faccia della novità.

Matteo Bergamini ha detto...

... perchè dici "Spagna. In cui, come si sa, il fumetto è estinto."? Nel senso che non ci sono più autori spagnoli? O non ci sono più editori?

Filippo ha detto...

Penso a tutte quelle persone che hanno frequentato e stanno frequentando scuole di fumetto per imparare il mestiere del fumettaro, penso a quello che penseranno leggendo il tuo post... Il fatto è che hai ragione! Ultimamente sono sempre d'accordo, com'è? ;-)
Scherzi a parte, credo che non si possa fare nulla per risollevare la situazione, bisogna semplicemente continuare a fare il proprio lavoro (mi riferisco a voi addetti) nella speranza che accada qualcosa. Purtroppo credo che la situazione peggiorerà, le nuove generazioni vengono su con Psp, Playstation, Wii, a sei anni sanno gia usare il pc, a dieci realizzano siti web... Insomma, hanno tutt'altra vita, hanno altri interessi, altri mezzi d'intrattenimento e sono terribilmente svegli! Mi chiedo quanti leggono Topolino, probabilmente passano direttamente a un fumetto Bonelli, sempre che passino attraverso i fumetti. Se invece di leggere un libro ascoltano un e-book mi viene difficile credere che prenderanno mai in mano un quaderno a fumetti. Comunque non è giusto generalizzare, di sicuro ci sono anche quelli che i fumetti li leggono, sono pochi ma buoni. Portare qualcosa di nuovo non cancellerà la crisi, ma un rinnovamento dei personaggi ci sta tutto, secondo me.Di recente ho scritto un commento presso il blog di Tito Faraci in cui confessavo di non aver più acquistato Dylan Dog da circa due anni perchè mi ero stufato, annoiato di rivedere sempre la stessa storia. Certo, c'erano e ci sono delle eccezioni (lo stesso Tito e Paola Barbato, per esempio), ma a parte qualche storia meritevole qua e là non c'è molto altro. Ci vuole un cambiamento, non uno stravolgimento, ma un pizzico di novità, un rinnovamento. Dalle storie decisamente horror di Sclavi e Chiaverotti si è passati al thriller (in tutte le sue sfacettature), questo è un esempio di "qualcosa di nuovo" che c'è stato a suo tempo. Il problema è che da lì il Dylan non si è più spostato. Mi scuso per la lunghezza, mi fermo qui, che è meglio. Anche a me piace Tin Tin! E pure Ken Parker! Adoro la sintesi di Milazzo! Mi sto rileggendo addirittura I Puffi di Peyo! E ancora non ho letto Watchmen :-( Addesso mi fermo veramente.

RaSca ha detto...

Non me ne abbiano i fan di Tex, e lungi da me il voler scatenare una polemica, però quello che non sono mai riuscito a spiegarmi è proprio il successo di questa serie.
Ora, fatta eccezione per le copertine di Claudio Villa che da sole meritano il prezzo dell'albo, mi chiedo come sia possibile tornare ogni mese a leggere le stesse, identiche storie.
Una spiegazione me la sono data (o meglio, ci ho provato): Tex è puro intrattenimento, come i film di Roland Emmerich (quello di Indipendence Day, 1000AC, The Day After Tomorrow etc.).
Apri l'albo e spegni il cervello.
E qui (volutamente) esagero: all'italiano medio piace spegnere il cervello, come con la DeFilippi.
E' sintomatico che il vero fenomeno di questi anni siano la riproposta delle "solite" storie di un ranger invulnerabile ed immortale che prende a calci nel sedere tutto e tutti e dopo va a mangiarsi una bistecca.
E non che non mi piaccia il western come genere, beninteso, ma sfido chiunque a dimostrarmi che Tex è una serie varia.
Tu Michele citi Ken Parker, che come serie ho seguito in toto: meglio 5 anni da leoni con storie toccanti e mai banali che 60 a raccontare le stesse storie.
E stiamo comunque parlando di due serie regolari eh...

Michele Medda ha detto...

Mat, in Spagna l'unico fumetto che trovi in edicola è Mortadelo y Filemon, un fumetto per bambini. Immagina di andare in edicola e di trovare solo Lupo Alberto. Diresti che il fumetto è vivo?

L'edicola è il canale più democratico che esista per la diffusione della cultura. Togliere i fumetti dalle edicole significherebbe di fatto sopprimerli (oltre che sopprimere i fumettisti, ovviamente).

RaSca: Tex, anche nelle storie meno riuscite, è *buon* intrattenimento, ed è un'oasi in mezzo a tanto intrattenimento stupido e volgare. E certamente non è una serie "varia". So what? Cerchiamo di non cadere nel solito equivoco da nerd: "Ma perché Bonelli non...?" (segue elenco di tutto quello che Bonelli dovrebbe fare: quindicinali a colori, riviste patinate, Ultimate Zagor, etc.). Il problema non è Tex (o Diabolik; o Alan Ford; perché citare sempre Bonelli?). Il problema è quello che *non* c'è come alternativa.

Faccio fumetti da vent'anni, ma ovviamente li seguo da molto più tempo. E, salvo qualche tentativo di Max Bunker e il recente John Doe (che comunque è su 94 pagine in b/n), non ho mai visto una vera alternativa ai fumetti Bonelli nel campo dei fumetti seriali. Ho visto solo scopiazzature degli albi e dei personaggi Bonelli. Come se Bonelli fosse un format, e non una casa editrice che ha un suo percorso, una sua storia, un suo perché. E che quindi non è riproducibile.

Il problema, coi fumetti, non è che è difficile rinnovarli. E' difficile *farli*, e farli bene.

Luca Erbetta ha detto...

Il problema del fumetto in Italia, a mio avviso, sono semplicemente due, e non anno nulla a che fare con l'aspetto creativo:
1) la mancanza di vere alternative a Bonelli
2) le edicole.

Il primo punto mi sembra lampante. In Francia ci sono tre grossi gruppi editoriali più altre tre case editrici che si possono permettere di pagare adeguatamente i propri collaboratori. Negli Stati Uniti abbiamo Marvel, DC e Dark Horse. In Italia solo Bonelli (Star ed Eura pagano da fame).
Forse, se arrivasse qualcuno con i soldi e un progetto editoriale convincente e solido
che potesse permettersi di ingaggiare dei validi professionisti e facesse delle accurate campagne pubblicitarie, magari qualcosa potrebbe anche smuoversi.

2) il secondo problema è legato a filo doppio con il primo. la vendita del fumetto nelle edicole uccide il mercato.
Il discorso è lo stesso: i soldi e Bonelli.
La "colpa" di Bonelli è quella di aver creato (involontariamente) una situazione che tarpa le ali alla concorrenza.
Facciamo due conti: Bonelli può permettersi di avere i migliori autori sulla piazza, stampare i suoi fumetti a tirature di 40.000 copie e tenere un prezzo molto basso, raggiungendo tutte le edicole con un prodotto economico e di qualità.
Editori senza capitali hanno basse tirature e autori acerbi e non si possono permettere di aumentare i prezzi.
Perché un lettore dovrebbe comprare Cornelio, (premesso che questo arrivi nella sua edicola) quando può spendere i suo i 3 euro per Dampyr che ha gente come Cajelli, Bocci, Majo... ?

Il mercato Francese è TOTALMENTE diverso. I fumetti costano cari, spesso sono venduti in libreria e ad un editore bastano circa 3500 copie vendute per arrivare in pareggio (pagando adeguatamente gli autori).
Questo permette una grandissima varietà di offerta. Con titoli commerciali e sperimentali.
E non dimentichiamoci che un successone come XIII nei primi volumi vendette meno di 5000 copie.

Quindi, in conclusione, le soluzioni sono due, come i problemi: o in futuro arriverà qualcuno con una montagna di grano da investire, o riusciremo a far cambiare le abitudini dei lettori, con vendite in libreria e prezzi notevolmente più alti.

RaSca ha detto...

No aspetta Michele, non darmi del nerd. Ho tirato fuori Tex perché lo avevi citato tu e mi è sembrato giusto esprimere le mie idee in merito.
Che la Bonelli faccia Ultimate Tex a me non frega nulla, se un fumetto è buono lo compro, fosse anche realizzato su fogli a4 da un vicino di casa che passa le notti a ricopiare le stesse vignette perché non può stampare.
E ribadisco il pensiero relativo alla qualità: la colpa è tanto degli autori quanto del mercato. E' come quando si viene traditi: la colpa è tua che non hai saputo far fronte alle esigenze dell'altro/a o dell'altro/a che ha cercato altrove quello che non potevi dargli/le tu?
Poi c'è chi tradisce di mestiere, ma vabbeh, questo è un altro discorso ;-)
Te dici che Tex è un signor intrattenimento, io ti dico che 45 numeri di Ken Parker valgono l'intera storia editoriale di Tex.
100 Kg di piume pesano lo stesso di 100 Kg di piombo. A variare è il peso specifico.

RaSca ha detto...

Luca, non mi ritrovo decisamente nella seconda soluzione che proponi (assodato che coi soldi si fa tutto): quando dici "riusciremo a far cambiare le abitudini dei lettori" cosa intendi con precisione?
Qualunque persona sulla faccia della terra se può comprare qualità a basso prezzo, lo fa. Che senso avrebbe "educare" (che poi dico io, come?) a spendere più soldi?
E poi un dato che non ho nella riflessione e che sicuramente voi potete indicarmi è questo: quante fumetterie ci sono in Francia rispetto in Italia?
Oppure la differenza è che in Francia i fumetti li vendono nelle librerie? Perché di quelle qua in Italia ce n'è, mentre di fumetterie no, ad esempio qui a Milano ne conto due.

Anonimo ha detto...

"La crisi del fumetto italiano ha diverse cause,
non una generica “mancanza di qualcosa di nuovo”.
E uscire dal tunnel – ammesso che sia possibile –
richiede molte manovre, da effettuarsi
con le marce basse e con la dovuta calma."

Ma allora quali sono le cause e quali le manovre da effettuare?
Da nerd, cado sempre nel solito equivoco del "perchè Bonelli non...";
e non capisco perchè sia un equivoco!
Bonelli ha una forza sul mercato senza paragoni:
chi se non la Bonelli potrebbe fare qualcosa (di più) per uscire dal tunnel?
Non dovrebbe essere la prima ad avere l'interesse a farlo?
E ricominciare dall'infanzia mi sembra l'unica strada percorribile.
Perchè si crei la cultura del fumetto quando ancora l'impatto
distruttivo delle *stronzate* che ci circondano è limitato.
Per chi il fumetto lo ama è complicato "tramandare" a figli e nipoti la passione.
Ed è proprio lì che "qualcosa di nuovo" andrebbe proposto.
E il problema del farli - e farli bene - si potrebbe risolvere rischiando un pò,
puntando su giovani autori che sappiano parlare alle giovani generazioni di potenziali lettori.

Manuel

Michele Medda ha detto...

RaSca, dài, non facciamo a chi ce l'ha più lungo (il fucile :-) tra Ken e Tex!

Ricordati comunque che se non fosse stato per Tex non avremmo potuto leggere Ken Parker e altre belle cose.

Gli autori... gli autori ci sono, è tutto il resto che manca.

Luca E, sono perplesso: se un editore non sa inventarsi un formato che gli consenta di ottimizzare le sue (poche) risorse la colpa (anche se involontaria) sarebbe di Bonelli? Mah.

E anche se arrivasse qualcuno coi soldi, dove prenderebbe la professionalità? Posto di trovare gli autori, dove sarebbero i direttori, gli editor, i supervisori, cioè le teste pensanti?

Panini i soldi li ha. Ha gestito X-Campus come sappiamo. E poi ha fatto Le Cronache del Mondo Emerso. Ed è finita come sappiamo.

Aveva ragione mia nonna, quando diceva che i soldi non sono tutto.

MarcoS. ha detto...

A questo punto con tutta la stupidità che mi compete mi viene da chiedere: e come si formano gli editor, i supervisori ecc...
Uno che non volesse fare l'autore ma appunto quei ruoli lì a chi si dovrebbe rivolgere per non andare a sbandare a destra e manca...so di corsi legati all'editoria diciamo più classica, ma per il fumetto non so. Io se penso ad una realtà che grazie ad un cambio di editor ha avuto risultati positivi mi viene in mente segretissimo...ma nel fumetto?

ivanhawk ha detto...

Posso lanciare una provocazione? Tu dici che scrivi Nathan Never da quasi vent'anni. E se il problema fosse questo?
Mi spiego (e ti prego di capire che non si tratta di un attacco personale, ma di una considerazione generale che usa il tuo lavoro come esempio): i cambi di team creativo in America hanno portato a periodi di zozzerie, ma anche a capolavori assoluti (citi Miller su Devil, a me viene in mente anche il ciclo della Nocenti o L'ULTIMA CACCIA DI KRAVEN sull'Uomo Ragno). Il punto è che, comunque, in America ogni tot di tempo le cose cambiano perché cambiano le persone. E perché è ritenuto normale da tutti i livelli della produzione e del pubblico.
E ora ti chiedo: personalmente, abbandoneresti Nathan Never per fare spazio - nel ruolo si showrunner, non come comparsa, ovviamente - a uno scrittore nuovo con idee diverse dalle tue? Ma, soprattutto, Bonelli lo permetterebbe?

ivanhawk ha detto...

Poi, il problema che il più grande editore di fumetti italiano si sia completamente perso una generazione di lettori è ben altro.

Michele Medda ha detto...

MarcoS: questo è appunto uno dei problemi. "Come si formano gli editor, etc...?" La risposta è che non si formano più.

Se non ci sono testate a fumetti non si può sviluppare tutta una serie di competenze legate al fumetto, fondamentali quanto gli autori. Editor, redattori, grafici, coloristi, letteristi...

Nel caso della Bonelli si pensa sempre all'editor/supervisore come alla Vestale della tradizione messa lì per reprimere gli slanci innovativi. Ma, per fare solo un esempio personale, senza Mauro Marcheselli non ci sarebbe stato Caravan.

Non basta l'entusiasmo degli autori (che in qualche caso c'è) e non bastano i soldi dell'editore. Ci vuole molto di più per "fare i fumetti".

Manuel: ma perché Sergio Bonelli deve fare un favore a te, o a chiunque voglia leggere fumetti con le vignette che vanno al vivo?

L'azienda è in attivo? Sì. Gli autori lavorano regolarmente? Sì. Non ti piace quello che pubblica la SBE e vuoi leggere qualcos'altro? Libero di farlo. That's it.

MarcoS. ha detto...

Scusami l'insistenza...ma questa cosa dell'editor è un argomento che m'interessa molto, quindi scusami se sono pressante. Per te che capacità dovrebbe avere l'editor e come mai tu non lo fai mi verrebbe da dire. Hai fatto un post sull'essere editore mi piacerebbe un post sull'essere editor.

Michele Medda ha detto...

Ivanhawk, martellate sempre sullo stesso tasto. In America fanno così e cosà, in America rinnovano e bla bla bla.

In America le case editrici principali sono multinazionali, non aziende a conduzione familiare come è la SBE. Ripeto: è un altro mondo, un'altra logica.

Quanto a Nathan Never, da circa dieci anni è in mano ad altri autori, che scrivono la maggioranza delle storie. Ma siccome il mercato è quello che è, questi altri autori lo scriveranno per altri dieci anni (ma anche di più, mi auguro).

Quindi no, il problema non sono i miei vent'anni su Nathan Never (o quelli di Stefano Vietti).

Il problema è che una mini-serie della "concorrenza" (virgolette non casuali) non riesce a stare in edicola *sei mesi*. E questo non ha niente a che fare né con me né col mio editore.

Michele Medda ha detto...

MarcoS: perché non faccio l'editor? Perché mi interessa ancora scrivere a tempo pieno (posto che a Sergio Bonelli interessi avermi come editor, e mica è scontato).

Mauro Marcheselli ha scritto solo soggetti (anche se molto belli) per Dylan Dog. Renato Queirolo ha scritto appena una manciata di storie per Magico Vento.

Scrivere e fare l'editor non sono cose conciliabili. Non nella misura che interessa a me, almeno.

Per quanto riguarda la figura dell'editor in Bonelli, prometto che ne parlerò in un prossimo post.

Luca Erbetta ha detto...

Scusatemi se insisto a confrontare il mercato italiano a quello Francese, ma visto che quest'ultimo lo vivo dall'interno ogni giorno da ormai 6 anni mi permetto di fare qualche considerazione.

Innanzi tutto: come si forma un Editor? In Francia tutte le case editrici hanno degli stagisti, ragazzi che studiano editoria all'università e che vengono impiegati per qualche mese come assistenti in redazione. I migliori rimangono, passano dal dipartimento dei diritti esteri a quello della produzione, all'assitenza degli editor per poi vedersi magari affidato la gestione di qualche progetto. Oppure si passa da libraio, a responsabile di disribuzione, poi a editor. O da scrittore a editor.
Il tutto nel corso di 10 anni, cambiando magari 3 editori.

Perché il punto è questo: che senso ha per Bonelli formare editor, quando nessun editore concorrente glieli potrà mai soffiare da sotto il naso?

Dove li troviamo autori professionisti per una nuova casa editrice? Magari si potrebbe far ritornare qualche "matita in fuga" espatriata per poter campare... Io ne conosco così tanti che potrei mettere in cantiere tre serie dall'oggi al domani. E magari si potrebbe anche provare a "scippare" degli autori a Bonelli, facendogli delle offerte migliori.

La pluralità editoriale francese permette a editor e aitori di poter andare dove sono meglio remunerati o apprezzati. O anche solo di avere più possibilità lavorative. Io sto per firmare un contratto con quello che sarà il mio terzo grosso editore dopo Delcourt e Dupuis (e sia Delcourt che il mio nuovo editore sono a conduzione familire).

In Francia esistono più fumetterie che in Italia, perché il fumetto non è venduto in edicola. O almeno un certo tipo di fumetto. Cose come Titeuf (che vende 650.000 copie) o Largo Winch ce l'hanno persino nei supermercati. Ma un sacco di prodotti si vendono in fumetteria, nelle librerie di varia e nei grandi magazzini (la sezione fumetti nelle Fnac è ENORME).
L'ultimo numero di Largo Winch aveva cartelloni pubblicitari in tutte le stazioni dei treni del paese. Al pari di un film di alto profilo. Quando mai questo è successo o succederà in Italia?
Io non voglio che i fumetti italiani costino più cari. Constato solo il fatto che un prezzo più alto permette tirature e vendite più basse e paghe non da fame.
Comunque, ogni editore che si rispetti ha almeno uno o due titoli sopra le 200.000 copie vendute, che gli permettono di andare anche in perdita su altri progetti.
Bonelli, volente o nolente, ha creato di fatto un monopolio culturalmente ed economicamente così forte che, se qualcuno vuole entrare nel gioco, deve farlo alle sue "regole" (stesso formato, stesso prezzo). Il fumetto italiano è il bonellide.
Anche all'estero i formati sono codificati. Il Francese è cartonato, il comics è di 22 pagine, il giapponese è microscopico. E i prezzi sono simili per tutti.
Ma con più editori la partita è più è più aperta.

Anonimo ha detto...

Forse non riesco a esprimere al meglio il mio pensiero,
ma non capisco proprio cosa c'entrino le vignette che vanno al vivo!?!
Se non mi piacesse leggere albi SBE o volessi leggere altro
probabilmente non sarei qui a parlare con te...

Favore a me?

Io sto parlando di una possibile strada per uscire da una
situazione che, come tu stesso affermi, potrebbe portarci
all'estinzione del fumetto, come in Spagna; dunque penso
che sia un problema culturale, e come tale dovrebbe essere
affrontato dalla base, formando nuovi lettori.
Il favore la SBE lo farebbe in primis a se stessa, non certo a me!
Penso sia solo lungimiranza.
Se poi la mia è un'idea stupida pazienza, ma proprio non capisco
la tua risposta!

Manuel

Ps.: se poi l'astio nasce da ciò che ho definito *stronzate*, sappi
che mi riferivo alle basse ma allettanti proposte di altri media,
non certo ai fumetti della SBE.

Michele Medda ha detto...

Manuel, ipotizzo ironicamente che Bonelli debba cambiare solo per fare un favore a te (o a chi chiede "di più" come te), perché non c'è un altro motivo per cui debba cambiare. E se c'è, non è certo per riformare il Fumetto Italiano.

Parli di "formare nuovi lettori". Ma Bonelli non può fare fumetti per giovanissimi. Non li ha mai fatti. Sono pochi i suoi autori che hanno quell'esperienza. Il formato non lo consente, bisognerebbe cambiare tutto, bisognerebbe usare il colore. Lasciamo perdere.

Allargare il pubblico, allora? Non funziona. E sai perché? Perché per un lettore nuovo conquistato da Bacilieri c'è un lettore vecchio che Bacilieri non lo vuole vedere. (Proporzione ottimista, ripensandoci: secondo me è uno contro tre).

Nonostante ciò, le contromisure per fronteggiare la crisi la SBE le ha prese. Funzionano. Sono perfettibili come tutto a questo mondo, ma funzionano.

Lo ripeto per l'ultima volta: quando un imprenditore (non più giovanissimo, tra l'altro) ha un'azienda coi conti in ordine e tiene al lavoro i suoi collaboratori, è fantascienza pretendere di più.

Il fumetto si estinguerà? Mi dispiace. D'altronde, si sta estinguendo la lirica, il teatro, e tra un po' toccherà al cinema. Chi siamo noi per fare eccezione? Perché l'Armageddon dovrebbe risparmiarci? So che chi ha letto le parti in prosa di Watchmen è convinto di avere questo diritto, ma la vedo dura...

Anonimo ha detto...

Tutto chiaro.
Un pò desolante, ma chiaro!

Manuel

Francesco Del Vivo ha detto...

Mi scuso anticipatamente se non è il giusto topic nè il sito adatto. Volevo solo farti i complimenti per il tuo ultimo Dylan Dog. Ne compro pochi in un anno, attratto in genere da qualche storia o autore interessante, e visto che questo mese c'è l'autore di quel bel fumetto che è Caravan, ho deciso di prenderlo.
Tutto funziona alla perfezione: Groucho e Dylan sembrano quasi un tutt'uno,il lancio della pistola come hai vecchi tempi, divertente poi quando il primo su richiesta di Dylan si dice le battute nella mente.
L'impulso di dirti queste piccole cose è sicuramente l'aver letto una bella storia, ma soprattutto complimentarmi per la tua bravura nel saper portare il lettore per mano fino a pagina 98, senza mai stancarlo, per scoprire infine come il finale si leghi splendidamente a tutto il resto.
Complimenti Michele.
Francesco Del Vivo
Livorno

Francesco Del Vivo ha detto...

[...come hai vecchi tempi...]
Che vergogna.
Francesco.

Eraserhead ha detto...

Mi accodo a Francesco nell'intrusione che sarà brevissima, giusto il tempo di farti i complimenti per aver scritto una storia DI Dylan Dog e non SU DYD.
Sembra poco ma è tanto per un lettore di vecchia data e in buona parte sconsolato come me.

Ancora grazie, e che lassù abbiano in gloria Stano.

Ora posso ritornare nell'ombra.

Michele Medda ha detto...

Francesco, Eraserhead, grazie. Giro i complimenti a Stano, che ha fatto un lavoro eccellente, purtroppo non valorizzato appieno dalla stampa, e vi do appuntamento al Dylan Dog Color Fest 2010.

Approfitto dell'occasione per una comunicazione di servizio: ricordo a tutti che potete contattarmi anche all'e-mail indicata nella colonna a destra, così da evitare gli OT.

Marco - Sono storie ha detto...

"Il fumetto si estinguerà? ... Perché l'Armageddon dovrebbe risparmiarci?"
Dì la verità Michele, stai lavorando a un nuovo episodio di "Digitus Dei" ;)

A parte gli scherzi, pensavo a una bella scena del film dei Coen "Mr. Hula Hoop". Tim Robbins inventa "l'hula hoop" ma non ha la minima idea di cosa la gente ci potrà fare. Ma quando il primo esemplare esce dalla fabbrica, rotola lungo il marciapiede e incontra una bambina. E' lei a inventarne l'uso e il divertimento.
Credo che per i linguaggi valga lo stesso principio. Del cinema si disse che era una "invenzione senza futuro", già alla nascita... Del romanzo si piange la morte da oltre duecento anni, eppure... Anche se ora vediamo il bicchiere mezzo vuoto, non sappiamo davvero cosa ci riservi il futuro. E io vedo ancora diversi ragazzi che si divertono quando hanno un fumetto tra le mani.

Michele Medda ha detto...

Marco, non parlavo mica della morte della creatività! Parlavo dell'estinzione del fumetto. Non è che perché non ci sono più fumetti in edicola la creatività spagnola è morta...

Il fumetto probabilmente non morirà, resterà come medium "di nicchia" con una sua cerchia di aficionados. E forse potrà sopravvivere proprio grazie alla sua "povertà", cioè all'essere sempre stato al di fuori dei grandi giri economici e degli aiuti statali (al contrario della musica lirica, per esempio).

Il problema immediato, se proprio vogliamo parlare sinceramente, non è la sopravvivenza del fumetto, ma quella dei fumettisti. Non sono affatto sicuro che se muore il "professionismo" il fumetto ne guadagni, anzi...

leggevo tempo fa su un blog (forse Gamberi Fantasy) una discussione proprio sull'argomento dell'arte "part-time", e mi sembrava che prendesse una deriva un po' delirante. Chiaro che non è impossibile dividersi tra arte e "lavoro vero". Ma mi riesce difficile pensare, che so, a "C'era una volta in America" realizzato nei ritagli di tempo da un Sergio Leone che lavora all'INPS.

Marco - Sono storie ha detto...

Ho conosciuto uno sceneggiatore televisivo, che fino ai 37 anni aveva fatto anche l'impiegato. E pure nel fumetto mi ricordo di qualcuno che era sceneggiatore e doganiere(!). Però, chiaro, il professionismo è un'altra cosa.
E certo, più si riducono le vendite, e più diventa un "privilegio" riservato a pochi.

Simone ha detto...

mi piacerebbe sapere cosa ne pensi delle case editrici non specializzate che si stanno inserendo nel mercato delle cosiddette graphic novel da libreria. Secondo te sarà un modo per rinnovare il settore e attrarre nuovi lettori oppure una lapide sulle case editrici più piccole?
Simone
p.s. io aspiro a scrivere fumetti e però lavoro per mantenermi, credo che se uno ha la determinazione ce la possa fare. Logicamente non potrà avere una produzione annua come tito faraci o roberto recchioni, ma credo che in ogni caso possa dare qualcosa a questo supendo mondo.

Michele Medda ha detto...

Simone, non so a chi ti riferisci quando parli di "case editrici non specializzate". Se ti riferisci a grandi case editrici come Rizzoli e Mondadori, certo, ben vengano queste iniziative. D'altronde, nel Giurassico o giù di lì Rizzoli e Mondadori pubblicavano grandi fumetti.

Non credo però che le majors possano/vogliano seppellire le piccole case editrici specializzate. Perlomeno, non finché si limiteranno a *ristampare*. Certo, se Rizzoli o Mondadori dovessero *produrre* regolarmente fumetti per il circuito librario il discorso cambierebbe. Ma mi sembra difficile, anche per un problema di competenze professionali.

Quanto ai tuoi progetti, ripeto quello che ho sempre detto: *farsi pubblicare* non è così difficile. E' fare dei fumetti un *lavoro* che sta diventando impossibile. Se sei ben conscio di questo, allora puoi scrivere serenamente.

Simone ha detto...

Si, scusa se mi sono espresso male. Parlavo di case editrici tipo la marsilio, che adesso ha varato una collana di graphic novel. Lo stesso ha fatto guanda, e credo che a ruota la seguiranno molte altre.
Potrebbe essere uno sbocco professionale.
Ho letto su afnews qualche mese fa che l'italia è il quarto mercato mondiale del fumetto, dopo giappone usa e francia. Ma se siamo i quarti, perchè così pochi autori riescono a lavorarci e viverci? Perchè importiamo la maggior parte della produzione, immagino. E questa cosa mi dispiace molto, perchè vuol dire che non riusciamo a colmare alcune lacune produttive, e non credo sia per mancanza di creatività degli autori o perchè siamo meno bravi. Ma non sono abbastanza addentro a queste cose per poter conoscere la risposta.
Comunque complimenti per caravan, è un lavoro molto interessante che esce dai soliti schemi, per poter raccontare storie di vita. In certe cose mi ricorda un po' il ken parker di berardi...

Michele Medda ha detto...

Ok, Simone, ho capito. Ma con appena un paio di uscite mi sembra presto per azzardare previsioni. Quella di Guanda ("Il Vangelo del Coyote") non mi sembra comunque rivolta al grande pubblico, e tutta l'operazione mi lascia parecchio perplesso (fermo restando che è un lavoro professionale).

L'Italia è uno dei pochi paesi al mondo in cui si *producono* regolarmente fumetti. E le vendite bonelliane farebbero gola anche alla Marvel. Mi autocito, perdonami: abbiamo un'impresa che non conosce la cultura e una cultura che non conosce l'impresa. Ecco perché siamo nella situazione in cui siamo.

Luca Erbetta ha detto...

Scusa Simone, ma no, fare un fumetto per Guanda non può essere uno sbocco professionale. 15000 euro di anticipo non li sborsano nemmeno per un romanzo, figuriamoci per un fumetto. non so quanto abbiano pagato Cammo per il Vangelo del Coyote (glielo chiederò), ma le cifre saranno distanti anni luce dalle sue solite tariffe.