giovedì 17 settembre 2009

"DRAMA" O "NON DRAMA"?

In The Five-Gag Film, uno dei saggi contenuti in Bambi vs, Godzilla, David Mamet spiega il concetto di “distanza estetica” e di violazione della stessa, concetti legati al cinema rispettivamente come drama (forma drammatica) e pseudo-drama (riproduzione della forma drammatica).

Mamet individua un tipo di cinema “alto” legato all’esperienza drammatica nel senso classico del termine: una immedesimazione profonda che conduce lo spettatore alla catarsi. Esperienza che Mamet definisce come “appagamento del rinvìo dell’appagamento”, cioè l’attesa del finale come obiettivo ultimo dell’esperienza estetica.

L'esperienza “pseudo-drammatica” sarebbe invece un’esperienza di appagamento immediato, indotto nello spettatore da una serie di stimoli. Mamet la definisce come l’esperienza dello spettatore del circo. Nel cinema il suo equivalente più basso sarebbe il film pornografico; quello nella forma più “nobile” sarebbe il film di genere puro, thriller o commedia che sia. (Mamet parla di “stunt–movies”, e credo che si riferisca a film definibili genericamente come “spettacolari” o comunque di intrattenimento senza pretese).

Mamet individua come spia della differenza tra le due esperienze il diverso trattamento della “distanza estetica”; cioè quella condizione che spinge “naturalmente” lo spettatore ad accettare il patto narrativo per calarsi completamente nella vicenda. La “distanza estetica” permane nel drama, mentre è violata nello pseudo–drama.

La violazione della distanza estetica è l'imposizione allo spettatore del patto narrativo, e Mamet la spiega con due esempi. Il primo è una situazione tipica del thriller. Gli investigatori individuano un numero di telefono importante, e il numero viene mostrato allo spettatore con un primo piano del foglietto dove è stato scarabocchiato. Dato che siamo al cinema e il numero non può essere un numero esistente, il numero inizia con 555. Lo spettatore sa che non esistono numeri di telefono che iniziano con quella cifra, e il regista sa che lo spettatore sa, ma entrambi sanno che non si può fare altrimenti. Questa – dice Mamet – è una violazione della distanza estetica, cioè un elemento che spinge lo spettatore “fuori” dal dramma, impedendogli l’immedesimazione profonda che contraddistingue l’esperienza drammatica.

Un altro esempio: stiamo guardando un film che racconta la storia di un pianista, e la macchina da presa scende dal viso dell’attore a inquadrare le mani che si muovono sulla tastiera. Per Mamet anche questa è una violazione della distanza estetica. Lo spettatore non è più indirizzato verso la storia del pianista, ma ne sarebbe strappato fuori per subire una dimostrazione di protervia registica: “sì, sono proprio le sue mani, è l'attore che suona il piano, e non una controfigura”.

I grandi film come L'orgoglio degli Amberson o Il Padrino, o i film di Kurosawa (ma Mamet cita anche La ragazza delle balene) non hanno bisogno di questi trucchetti per calare lo spettatore dentro la storia.

Personalmente non ho difficoltà ad accettare la distinzione tra film drammatici (quelli che comunemente accettiamo come “grandi film”, la cui visione costituisce un’esperienza di vita) e film pseudo-drammatici (quelli che comunemente accettiamo come film di intrattenimento). Ma mi chiedo se la violazione della distanza estetica come formulata da Mamet sia una condizione sufficiente a distinguerli. Intanto, l’esempio del numero telefonico citato da Mamet vale per uno spettatore americano. Gli spettatori degli altri continenti, per la stragrande maggioranza, ignorano che quel numero telefonico è fittizio, e per loro la distanza estetica non è affatto violata. E, per quanto riguarda noi italiani, una clamorosa “violazione” come il doppiaggio non ci impedisce di apprezzare, che so, Barry Lyndon.

Ancora, Mamet ragiona in termini esclusivamente realistici, presupponendo che il massimo realismo sia l’unico criterio possibile per immergerci dentro una storia. Ma non lo è. Come possiamo applicare il criterio della distanza estetica (e vedere se vi sono violazioni della stessa) quando guardiamo Toy Story, The Nightmare before Christmas o La città incantata? O dovremmo concludere che qualsiasi film di animazione è esperienza pseudo-drammatica, quindi incapace di toccare le vette dell'Arte?

Di conseguenza non posso fare a meno di chiedermi se possiamo applicare questo criterio ai fumetti, ed eventualmente in quale modo possiamo farlo. Nel fumetto – o nell’opera letteraria in genere – è chiaro che il coinvolgimento è meno “fisico” e molto più mentale.

Qual è, allora, il fumetto Drammatico? Al di fuori di Maus o Watchmen, esiste un tipo di fumetto che possa considerarsi una profonda esperienza estetica come un film di Kurosawa?

E infine: siamo sicuri che il drama – anche quello indiscutibile di Maus e Watchmen – sia la forma più profonda di esperienza estetica che il fumetto può offrire? E se invece ipotizzassimo che questa esperienza consiste in tutt’altro? Perché, se Mamet avesse ragione, ammettendo di poter includere nel tempio dell’Arte le opere di Spiegelman e Moore, dovremmo escluderne Paperino e Snoopy, Braccio di Ferro e Asterix. Voi ve la sentireste?

13 commenti:

Anonimo ha detto...

Volevo fare i complimenti all'ideatore di CARAVAN

Non vedo l'ora di leggere le rimanenti Storie che usciranno in edicola nei prossimi mesi.

Fumetto letto e imbustato.

Oltre a Caravan seguirò ( a partire da Ottobre ) Greystorm.

Ho sempre amato il contesto storico-culturale di fine 1800.
Atmosfere particolari...

Non sono mai stato un Fan della Bonelli Editore ma queste " ultime " mini-serie hanno catturato la mia attenzione.

Davide, Roma

MarcoS. ha detto...

le domande che fai sono da sempre le stesse che mi faccio anche io, anche se in un modo più stupido e banale...io mi sono sempre chiesto su quale corde il media stesso lavori...attualmente non so...io ho sempre percepito il film come una forma onirica narrativa mentre il romanzo come una maggiore intimità dei sentimenti. Il fumetto l'ho sempre collocato lì, in un sentimentalismo onirico. Per esempio a me danno molto senzazione di esperienza di vita storie virate in acquarello in cui il mondo viene filtrato e sfumato come in un sogno e dove la narrazione tende a perdersi in personaggi chiusi in una solitudine personale. Solitudine e respiro lento che anche io lettore provo e con cui mi perdo nella visione di un mondo che sta lì ma nn mi appartiene appieno.
Non penso di essere stato chiaro...e più una risposta da sensazione

Anonimo ha detto...

bhè non so se ho capito bene o male il senso del post, ma io credo che la qualità principale che deve avere un opera, a qualsiasi media appartenga e a qualsiasi genere faccia riferiemnto, è la capacità di sospendere l'incredulità dello spettatore fruitore, l'abilità dell'autore sta nel "far suo" l'utente finale che accetta la trama e la ritiene vera/verosimile.
in tal senso buon autore e chi riesce a mantenere vivo e desto tale sentimento, fallisce, invece quando lo spettatore cambia la propria disposizione d'animo e si accorge che sta guardando un opera di fantasia e che è tutto falso.
in questo senso, facendo riferimento a film di cassetta, penso ai tre matrix: il primo mi ha coinvolto e lo ritengo vero. il secondo e il terzo li prendo come videogiochi dove mi accorgo che sono falsi durante la visione.
quanto alla dicotomia drammatico/comico o mero intrattenimento penso che siano superate le distinzioni che fanno appartenere all'arte solo le opere riferibili al primo genere.
aristofane, plauto e terenzio stanno alla pari con euripide eschilo e sofocle, solo che tratteggiano la realtà in modo diverso distorcendola attraverso altri stilemi.
e poi ormai i generi risultano confusi e e mescolati. penso al film "l a grande guerra" come lo classifichiamo ? comico drammatico ? io direi che attraversa tutti e due i generi e chissà quanti altri e la sua grandezza sta in questo.
e che dire di chaplin....
ogni sua opera va oltre il genere di appartenenza
(certo che in questo caso si parla di genio....)
infine, a conclusione di questo mio delirante e senz'altro confuso intervento" aggiungo che è sempre più difficile e complesso suscitare il riso (il vero riso inteso come moto dell'animo che scuote il corpo intero) o anche un semplice sorriso, piuttosto che commuovere.

Luca

Anonimo ha detto...

Un'ultima cosa...

La Sergio Bonelli Editore ha sempre preferito gli albi squadrati, in bianco e nero sarebbe interessante sperimentare un cocktail in bianco e nero con un po' di colore. Uno stile " visivo " diverso ( interamente in bianco e nero ma con occasionali elementi di colore per avere un maggior impatto ) alla " Sin City ". Storie Horror in bianco e nero alternate ( nelle scene più inquietanti )di colore mozzafiato. Non perderei più un'albo...

Davide, 24, Roma

Michele Medda ha detto...

Davide, grazie dei complimenti, ma quello che tu vorresti vedere sugli albi Bonelli è pura fantascienza (credo che sia stato fatto una volta sola su Dylan Dog, ma non ricordo in quale albo).

Prima di tutto dovrebbe esserci una ragione narrativa valida per fare una cosa del genere.
E si potrebbe fare due, tre volte, ma già alla terza diventerebbe stucchevole.

Ma soprattutto, aggiungere colore - anche *un solo colore* - comporta un aggravio di costi che renderebbe necessario un aumento pauroso del prezzo di copertina: soluzione impraticabile.

Il formato Bonelli impone il bianco e nero, a meno di non ripensare completamente la politica della casa editrice, facendo tabula rasa del passato. Ma tu capisci che è un po' improbabile, vero?

MaxBrody ha detto...

Premettendo che non concordo affatto con quanto espresso da Mamet (in particolare con l'equiparazione di opera pseudo-drammatica con opera "di genere"), l'interessante riflessione di Michele, applicata al fumetto, mi porta a pensare che, seguendo i principi di Mamet, tendenzialmente si dovrebbe accettare fra le opere d'"Arte" quei fumetti che un tempo si definiva "d'autore". Il che non significa "non popolari", ovviamente: Maus, Watchmen, Persepolis, sì; ma anche "Rat-Man" (il quale, vista così, è sia pseudo-drammatico che drammatico ;-) o i "Mister No" di certi autori, per esempio. Ma credo che, in fondo, ne rimarrebbero esclusi pochissimi personaggi
(non so se s'è capito cosa intendo)

Anonimo ha detto...

Probabilmente hai ragione anche se sarei disposto ( pur di veder realizzato un progetto simile ) a pagarlo ad un prezzo maggiore.

Però i fumetti con valenza estetica del colore del tipo in bianco e nero con solo certi dettagli a colori o fumetti con un unico colore ( al posto del bianco e nero magari bianco e rosso o simili ) usati per raccontare " un fumetto horror psichedelico " contribuiscono ad accentuare la tensione.

Per quanto riguarda Caravan ho comprato i primi quattro numeri. Soldi ben spesi. Continuerò a seguire questa miniserie.

Davide, 24, Roma

Michele Medda ha detto...

Grazie della fiducia, Davide!

Per MaxBrody: nel caso di Ratman (o, mettiamo, di Lupo Alberto) il problema è proprio applicare la distanza estetica, perché ci troviamo di fronte a opere non realistiche. Istintivamente noi sappiamo che Lupo Alberto ha uno "spessore" che mancava, che so, a Provolino. Ma come si fa a dire che Provolino viola la distanza estetica?

Il metro di giudizio di Mamet è molto, molto limitante.

A Luca propongo invece un quiz: sai qual era stata l'ultima commedia premiata con l'oscar prima di Slumdog Millionaire?

Non te lo ricordi? Niente di strano... era Shakespeare in love, 1999. Dieci anni fa!

Delle due l'una: o si fanno poche buone commedie (e tra l'altro quel film non lo era), o il film drammatico è ancora reputato geneticamente superiore. Purtroppo.

MarcoS. ha detto...

La storia di Dylan dog in cui compare il colore se non ricordo male era Il n 131 Quando cadono le stelle...ma l'effetto dell'arcobaleno era veramente deludente.

Filippo ha detto...

Slumdog Millionaire non lo considero una commedia, ma un film drammatico; e non sono l'unico visto che ha vinto il Golden Globe come Miglior Film Drammatico. Comunque, dettagli a parte, capisco e accetto la distinzione di Mamet tra film drammatici e pseudo-drammatici ma, rispondendo al primo quesito di Michele, non credo proprio che la "distanza estetica" sia una condizione sufficiente a distinguerli. Non credo nemmeno che il massimo realismo sia l’unico criterio possibile per immergerci dentro una storia, come non credo che i film drammatici siano sempre e solo "grandi film" e gli pseudo-drammatici sempre e solo film d'intrattenimento. Mi sono commosso con Il gigante di ferro, con Ratatouille, con Wall-e e si tratta di cartoni animati, decisamente lontani dal massimo realismo. Non basta la sola componente estetica per fare un grande film o per coinvolgere lo spettatore, è importante anche quello che viene raccontato. Barry Lyndon cade a fagiuolo: è un film esteticamente e tecnicamente impeccabile, Kubrick ha fatto di ogni inquadratura un vero e proprio dipinto, ma non serve a niente se la storia è terribilmente lenta e noiosa (è un mattone di tre ore!). Se dovessimo tener conto del ragionamento di Mamet il massimo realismo non coinciderebbe nemmeno con il film drammatico, ma con il film documentario (che è sempre e comunque qualcosa di costruito ad hoc). Insomma, secondo me Mamet sbaglia.
Applicare la distinzione al fumetto è problematico... Mi verrebbe facile dire che il drammatico corrisponde alle graphic novel e lo pseudo-drammatico al fumetto seriale, ma ci sono state, per esempio, storie di Dylan Dog (mi viene difficile tirare fuori dei titoli a memoria in questo momento, dovrei andare a controllare), definibili "fuori serie" perché esulavano dallo schema e dagli argomenti classici, che avevano tutte le caratteristiche del drama. Maus, con tutto il rispetto, non mi sembra esteticamente eccezionale, sono disegni abbastanza "infantili", la componente figurativa è meno determinante, la forza sta nella storia, nel modo in cui è raccontata, nell'idea di utilizzare gli animali antropomorfi per rappresentare i personaggi all'interno di una metafora sociale. Lo stesso si potrebbe dire di Persepolis. Io mi faccio un'altra domanda a questo punto: perché bisogna fare tutte queste distinzioni?

Michele Medda ha detto...

Filippo, a quanto pare ho preso un abbaglio; non ho visto Slumdog Millionaire, dal trailer (per via dello stile flamboyant di Boyle) mi ero fatto l'idea di una specie di fiaba, non certo di un filmone drammatico.

Comunque, questo rafforza la sensazione che le commedie siano trascurate dalla Academy: in tal caso, da dieci anni la palma di "miglior film" non va a una commedia.

Rispondo alla tua domanda: perché fare queste distinzioni? Beh, un critico dovrebbe farle perché è il suo mestiere; sarebbe interessante cercare di capire "criticamente" quali fumetti ci toccano nel profondo, e perché.

Un autore, poi, deve farsi certe domande per sapere *cosa* in realtà sta raccontando. E le osservazioni di Mamet hanno comunque risvolti pratici; anche scegliere se mostrare o no in primo piano un foglietto con un numero telefonico è qualcosa che incide sul racconto, e contribuisce a determinare la qualità dello stesso.

Francesco ha detto...

Ciao
A mamet piacciono molto queste ricostruzioni teoriche molto astratte. Gia' nell'altro libro a volte mostrava una rigidita' davvero impressionante.
Rigidita' che nei suoi film e telefim diventa un valore perche' il suo modo di girare, e scrivere, e' caratterizzata da un rigore incredibile che rende i suoi film belli, secchi ed essenziali (prova a vedere Spartan e mi dirai).
Sul merito non saprei cosa dire se non che più che una questione di distanze estetiche è una quesitione di motivazioni, fini e spinte alla narrazione?

Michele Medda ha detto...

Purtroppo non ho visto Spartan. Ho visto invece un paio di episodi di The Unit; mi è sembrata una serie buona, ma niente di trascendentale, e ampiamente nei limiti del "già visto".

Per l'appunto, se Mamet è così rigido immagino che abbia qualche problema con la tivù, perché la serialità è "rigida" a sua volta; e ti impone di scandire la narrazione in maniera molto più diretta ed esplicita rispetto al racconto cinematografico (e questo vale anche per la narrazione seriale a fumetti). Per valorizzare questo tipo di narrazione devi conoscerla molto bene. E Mamet è bravo e intelligente, ma quello che conosce a fondo è tutt'altro genere di cose.