Chiamarla “gabbia” suona malissimo, perché dà l’idea di qualcosa che imprigiona la creatività. Allora? “Composizione” della tavola? “Struttura” della tavola? Forse è un po’ più preciso “divisione” (in vignette) della tavola. A me piace “griglia”. La “griglia” della tavola. Per arrostirci sopra i disegnatori, ovviamente.
La “griglia” bonelliana è solitamente scandita su tre strisce, per un totale di cinque o sei vignette di larghezza variabile, ma quasi sempre della stessa altezza.
La cosa curiosa è che questo formato è nato casualmente, quando negli anni sessanta si decise di ristampare le vecchie storie di Tex comparse sugli albi “a striscia”. Fu scelto un formato–quaderno che consentisse di ristampare tre strisce su ogni pagina.
Quando gli albi a striscia cessarono le pubblicazioni e rimasero solo gli albi “formato–quaderno”, le storie vennero realizzate appositamente per quel formato. Anche se, va detto, molti disegnatori di Tex continuarono a lavorare “su striscia”, cioè non su un unico foglio, ma su strisce che poi venivano montate per formare la tavola vera e propria. Lavorando in questo modo, qualsiasi variazione delle vignette nel senso dell’altezza era impossibile.
Mi riprometto di dedicare un post apposito alla storia dei tentativi di allargamento/sfondamento della griglia ormai definita “bonelliana”. Per ora vorrei solo puntualizzare che se da sessant’anni quel tipo di impaginazione resiste, ci sono altri motivi oltre alla tradizione (i disegnatori ce l’hanno, volenti o nolenti, nel DNA).
Il formato comic book è più “alto” del formato italiano. Quattro strisce sul formato comic book (o sul formato del cartonato francese) fanno il loro effetto: nel formato Bonelli, invece, portano fatalmente alla compressione di alcune vignette a scapito di altre. Non che una impaginazione “all’americana” sia del tutto impraticabile nei nostri albi, ma richiede indubbiamente un certo studio. Alcune volte è inutile, altre volte è proprio impossibile.
La verità è che la tradizionale griglia di tre strisce è semplicemente più veloce da realizzare rispetto a una griglia “da comic book”, che richiederebbe un delicato gioco di incastri. E attenzione: non parlo solo della velocità di esecuzione del disegno, ma anche della sceneggiatura. Perché chiunque di noi scrittori è in grado di capire, scrivendo per una griglia di tre strisce, che cosa verrà fuori sulla pagina. Mentre chiedere al disegnatore una vignetta piccola o una striscia sottile e prevedere come questi eseguirà le istruzioni richiede doti precognitive di cui siamo sprovvisti; o, in alternativa, una collaborazione gomito a gomito.
Avendo scritto per pubblicazioni di formato comic book (per esempio Monster Allergy e X–Campus), mi sono trovato a fronteggiare una griglia con un numero di vignette superiore a quello della griglia bonelliana (in media 7–8 , contro le 5–6 bonelliane; un po’ come se fosse un “formato francese”).
Bene, mi era molto difficile visualizzare mentalmente la tavola, non sapendo se il disegnatore sarebbe riuscito a fare una striscia sottile là dove gliela indicavo, o se invece avrebbe privilegiato un’altra soluzione, modificando la griglia che io avevo previsto.
E la minore possibilità di visualizzare il disegno nel momento in cui si scrive, ovviamente, condiziona la scrittura. Alla fine mi sono limitato a indicare il numero di vignette senza specificare tassativamente quali erano “vignette lunghe”, e lasciando al disegnatore la possibilità di distribuirle sulla griglia in base alle sue necessità.
Vi prego di notare, però, che in Monster Allergy la fase del disegno era divisa in tre passaggi: lay–out, matite, chine. Un lavoro d’equipe, quindi, svolto da persone diverse.
Il fatto di avere già una visualizzazione della griglia su cui lavorare accelerava il lavoro del disegnatore; alleggerito così della fatica di studiare l’impaginazione, il disegnatore poteva concentrarsi sul disegno e solo su quello. Non dimenticate che Monster Allergy era di fatto un volume “alla francese”, anche se su dimensione ridotta, ed era una pubblicazione mensile. Sarebbe stato impossibile per un solo disegnatore reggere quel ritmo (48 tavole mensili).
Tornando alla “griglia” bonelliana: dopo tanti anni mi sono convinto che è impossibile alterarla in maniera sostanziale. Per imposizione dell’editore, certamente, ma anche e soprattutto per le difficoltà pratiche su elencate.
Ma infine: è utile alterarla? Scrivendo Caravan non ho sentito l’esigenza di un’impaginazione molto diversa da quella tradizionale. E quando ho sentito la necessità di utilizzare tavole con quattro strisce l’ho fatto (in qualche caso l’hanno fatto di loro spontanea volontà i disegnatori).
Temo che in molti casi i lettori identifichino la griglia come una “gabbia” molto più di quanto non facciano gli stessi autori, nell’illusione che modificare la griglia significhi ipso facto un fumetto più “moderno”, più cool.
Non è così, naturalmente. Un magnifico disegno rimarrà magnifico anche dentro una tavola di sei vignette quadrate tutte uguali. Il problema è il contenuto (narrativo) di quelle sei vignette. È su quel campo che si gioca la partita decisiva.
12 commenti:
Sono assolutamente d'accordo. Se lo sceneggiatore predilige una determinata suddivisione e vuole essere più preciso di una descrizione testuale può fornire al disegnatore uno schema approssimativo della griglia, no? Comunque credo che la cosa migliore sia lasciare al disegnatore la gestione dello spazio (come hai deciso di fare tu), è il suo lavoro.
Non sono d'accordo: la griglia bonelliana è una "gabbia" proprio e solo perchè imposta. Altrimenti sarebbe come una griglia qualunque. Sta al singolo sceneggiatore e al singolo disegnatore sentirla stretta o meno. Poi è ovvio che uno ci si possa abituare e possa addirittura trovarla comoda, ma mi sembra una cosa negativa, frutto dell'imposizione nel tempo. In pratica imbriglia e limita la capacità di andare oltre.
Manuel
Manuel, una griglia diversa non sarebbe migliore solo perché diversa e "non imposta". Una storia mediocre rimane mediocre anche se la impagini come lo Swamp Thing di Totleben & Bissette. E un disegnatore incapace rimane incapace anche dentro una tavola "all'americana".
La griglia di sei vignette non è limitante di per sé, *può* essere limitante in determinate occasioni. Ma quando si incontrano dei limiti si cerca di superarli. Cosa possibilissima per chi vuole farlo; come dimostrano diversi Nathan Never o, per fare un esempio più recente, i Napoleone di Bacilieri. E anche come dimostra Caravan, a cominciare dalle copertine.
Perché così come non esistono libertà assolute, non esistono imposizioni assolute. Nemmeno un regime totalitario può castrare completamente la voglia di esprimersi, figurarsi se può farlo un editore, anche se fosse il più conservatore di tutti.
E in ogni caso: i disegnatori *benedicono* la griglia di sei vignette tutte uguali, perché a impaginare si fa prima, e sistemare le cose dentro un quadrato è più facile che farlo dentro un rettangolo strettissimo (meno problemi di lettering, tra l'altro). Sta' tranquillo che nessuno perde il sonno la notte pensando: "Maledetti, costringono la mia arte dentro una griglia fissa!"
Se poi vogliamo elencare esempi di grandi fumetti disegnati su vignette regolari, cito solo Magnus. Non mi pare proprio che Magnus sia stato "castrato" dalle due vignette per pagina (che per me è il formato più rigido e inesorabile che ci sia).
Sono d'accordo anch'io. Penso che le griglie “regolari” non limitino le possibilità di una storia. Semmai il contrario. Ci sono pagine bellissime disegnate da Alex Toth su 3 strisce con 6 vignette uguali.
Facendo il disegnatore spesso discuto dell'argomento con lo sceneggiatore con cui lavoro in questi mesi. Io tiro verso una impaginazione regolare, lui verso un'impaginazione che non limiti le possibilità espressive.
Ultimamente l'ho ascoltato e ho cominciato a usare quelle vignette che forse si chiamano “a bordo perduto”, cioè quelle che vanno al vivo. Non ne avevo mai sentito la necessità e dopo averle usate per 54 pagine mi sono convinto ancora di più che ne potevo fare a meno. Almeno per come la vedo io. Magari poi cambio idea. :-)
Matteo
Mi permetto umilmente di dissentire sul fatto che sistemare le cose dentro un quadrato sia più facile.
In realtà ti costringe a variare tantissimo i campi dell'inquadratura (Berardi sostiene -giustamente- che nell'arco delle 12 vignette delle due pagine pari-dispari ci dovrebbe essere sempre tutto lo spettro delle inquadrature: dal PP al CL).
E soprattutto ti costringe a disegnare UN SACCO DI FONDI :)
Basti vedere il lavoro di Parlov che sul Punitore ha bisogno di disegnare la metà rispetto a un magico vento.
Detto ciò a me la griglia a sei piace. E piace anche romperla quando ce n'è bisogno.
ciao!
Matteo, solitamente è il disegnatore che chiede di poter andare "al vivo", che sia lo sceneggiatore a farlo è davvero curioso. Dal punto di vista di chi scrive, non capisco cosa aggiunga alla sceneggiatura un centimetro di disegno in più.
Intendiamoci, so che ci sono disegnatori che ne fanno una questione di vita o di morte (ne cito uno che conosco bene, Massimo Dall'Oglio), e che si mozzerebbero un braccio con la katana piuttosto che fare 94 tavole su una griglia regolare.
Ma io non credo che andare "al vivo" abbia una particolare valenza espressiva, credo che sia semplicemente un fatto di consuetudine. Da un punto di vista pratico, poi, credo - correggetemi se sbaglio - che andare al vivo richieda una particolare attenzione per calcolare gli spazi (il disegno dovrà essere tagliato tipograficamente nel punto giusto, e se vai al vivo in basso copri il numero della pagina), mentre una griglia tradizionale non crea problemi in fase di stampa.
Emiliano, io non sono d'accordo con Berardi, ma con Billy Wilder: "Quando ti serve un primo piano, metti un primo piano. Quando ti serve un totale, metti un totale". Berardi considera una unità narrativa l'insieme delle due tavole pari-dispari, e mi pare una cosa bizzarra. L'unità narrativa per me è la singola tavola (a meno che tu non rifaccia "300" di Miller).
Quanto alla facilità d'approccio al "quadrato" e alla difficoltà del "rettangolo", mi riferisco ovviamente al nostro standard di disegno, per cui di norma devi *sempre* disegnare gli sfondi. E inserirli in una vignettina "stretta" chiaramente è più difficile.
E' chiaro che il fumetto popolare americano è molto più libero in questo senso. E non dimentichiamoci che è "riempito" dal colore. Ho il sospetto che molti fumetti americani pubblicati in b/n risulterebbero "poveri" ai nostri occhi.
Ehhh credo che il disegnatore medio americano a tav 10 di un albo bonelli sarebbe già con la flebo :)
Wilder ha perfettamente ragione, le inquadrature si scelgono in funzione del racconto. C'è da dire che nel fumetto il disegnatore deve considerare un equilibrio grafico che comprende, di volta in volta la coppia di pagine (pari e disapari), escluse (ovviamente) la prima e l'ultima. E si può ottenere anche senza utilizzare per forza tutto lo spettro delle inquadrature.
Griglia o non griglia? Questo è il problema...
Partiamo da una precisazione che mi sembra fondamentale: i Bonelli sono strutturati su una semi-griglia, e non una griglia vera e propria.
Perché è fondamentale? Ora lo spiego:
Prendiamo due capolavori come Stray Bullets e Watchman. Il primo è tutto strutturato su 8 vignette per pagina (due per ogni striscia) SEMPRE delle stesse dimensioni. Il secondo ha una griglia regolare di 9 vignette, con alcune di esse che vengono fuse assieme per ottenerne di più grandi, ma che rispettano sempre le dimensioni programmate.
Queste sono delle vere griglie, perché totalmente regolari. Non ammettono eccezioni (salvo in rarissimi casi).
Nei Bonelli, invece la dimensione varia da vignetta a vignetta, ci sono pagine a sette o nove vignette, a tre o quattro strisce (basta predere un albo di Caravan), quindi io, tutta questa griglia, non ce la vedo...
Comunque, il problema della semi-griglia Bonelliana è semplicemente "estetico". Non permette al disegnatore di impostare una "bella tavola". una tavola che non sia solo funzionale narrativamente, ma che sia anche d'impatto visivo per il lettore.
Le tavole di Boucq, di Brian Hitch o di Eduardo Risso (solo per citare i primi tre che mi vengono in mente) hanno una bellezza compositiva fenomenale, oltre che un eccezionale storytelling. Inoltre loro usano sapientemente il formato delle vignette per amplificare degli effetti narrativi che sarebbero ridotti in una griglia regolare.
La semi-griglia Bonelli è brutta perché il 3x2 è statico. Il 9x9 di Watchmen o il 4x2 di Straybullets, sono molto più dinamici.
Certo, le dimensioni dell'albo non aiutano.
Io ho lavorato su tutti e tre i formati: Bonelli, comics, e francese, e, da disegnatore, devo dire che quello americano (che ha una media di 4 - 6 vignette per pagina) è quello che preferisco. Ti permette veramente di lasciarti andare.
A Emi, per quel che riguarda gli sfondi: se credi che una Bonelli ne sia pieno, prova a disegnare una albo Francese e poi ne riparliamo... :)
@ Luca Erbetta
Il problema non mi sembra "griglia o non griglia?" sinceramente. La griglia c'è sempre e comunque in un fumetto. Mi sembra che Michele si chieda quanto sia/se è utile alterare la griglia bonelliana. Ho capito bene il tuo discorso e lo rispetto, ma non credo che una griglia possa dirsi dinamica o statica, casomai sarà il contenuto a esserlo; una griglia può essere regolare o irregolare. Inoltre non condivido e non capisco la distinzione tra griglia e semi-griglia; non ha senso. E' vero che le dimensioni delle vignette in un fumetto Bonelli variano, ma non mi sembra una condizione sufficiente per definirla una semi-griglia, è semplicemente una griglia irregolare, ma sempre griglia è.
io sono molto favorevole all'uso della griglia bonelliana, a patto che ci sia la volontà di romperla quando c'è davvero bisogno di farlo.
Ad esempio le cosiddette splash-page, se usate bene e con moderazione, sono un grande valore aggiunto all'albo. Ricordo una storia di Nathan Never dove un pilone enorme cadeva su una città. In quel caso venne usata una vignetta grande due pagine (!) per rendere la grandiosità dell'evento. Giravi pagina e ti trovavi questo spettacolo davanti in modo quasi inaspettato, ed ecco l'emozione.
Ecco, su Nathan Never mi pare che voi "tre sardi" abbiate sperimentato molto in fatto di griglia: ma lo facevate quando ce n'era bisogno, non come esercizio fine a sè stesso. E questo credo sia il "modo giusto" di uscire dalla gabbia.
Sono d'accordo con Gianluca e qui propongo una riflessione più articolata.
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